Il premier Giuseppe Conte ne ha dato notizia nel pomeriggio di oggi: “Silvia Romano è stata liberata. Grazie ai nostri servizi d’intelligence”. Silvia Costanza Romano è la cooperante italiana di 24 anni rapita nella notte tra il 20 e il 21 novembre 2018 nel sud est del Kenya, a Chakama. Oggi, dopo un anno e mezzo, Silvia potrà fare ritorno in Italia. “Sono stata forte e ho resistito. Sto bene e non vedo l’ora di ritornare in Italia”, ha detto la ragazza, liberata oggi al termine di un’operazione di intelligence scattata la scorsa notte.
Silvia Romano, da quanto si apprende da fonti di intelligence, era nelle mani di Al Shabab ed è stata liberata a 30 chilometri da Mogadiscio al termine di un’operazione avvenuta in condizioni estreme perché la zona è stata colpita negli ultimi giorni dalle alluvioni. Domani, domenica 10 maggio alle 14, Silvia atterrerà a Ciampino.
“Sta bene ed è in forma, provata ovviamente dallo stato di prigionia ma sta bene”, ha spiegato il presidente del Copasir Raffaele Volpi, che ha definito la liberazione della giovane “una bella notizia attesa da tempo”. “I complimenti – ha aggiunto Volpi – vanno al generale Carta, agli uomini e alle donne dell’Aise che con il loro incessante lavoro, mai alla luce della ribalta, hanno permesso questo importatissimo risultato. Grazie ragazzi e bentornata a casa Silvia”.
“Lasciatemi respirare, devo reggere l’urto. Finché non sento la voce di mia figlia per me non è vero al 100 per cento”. Sono le parole che Enzo Romano, il padre di Silvia, ha rivolto all’Ansa. “Devo ancora realizzare, mi lasci ricevere la notizia ufficialmente da uno dei miei referenti”, ha poi aggiunto Romano.
“Lo Stato non lascia indietro nessuno. Un abbraccio alla sua famiglia”, ha invece scritto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un post Facebook, con il quale ha ringraziato il lavoro di intelligence e Farnesina.
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Silvia Romano, il rapimento
Nella notte tra il 20 e il 21 novembre 2018 la giovane volontaria italiana Silvia Costanza Romano è stata rapita a Chakama, nel sud est del Kenya. (Qui il suo profilo)
“Sto bene”. L’ultimo messaggio di Silvia Romano a una delle migliori amiche, il 18 novembre. “Mi chiedeva – spiegava l’amica a TPI – se mi avessero ammessa al master a Roma. Poi più nulla. Preoccupata, le ho scritto il 20 e il 21. Il 21 ho scritto anche a Davide Ciarrapica, per chiedergli se sapesse qualcosa. “Si, ho saputo, ma non so niente”, questa la sua risposta”.
Alcuni uomini armati hanno fatto irruzione nel villaggio in cui la ragazza viveva aprendo il fuoco contro i residenti. Cinque persone, tra cui due bambini di 10 e 12 anni, sono rimaste ferite nell’attacco terminato con il sequestro della volontaria italiana. Secondo quanto riferito ai media internazionali da alcuni residenti, gli uomini che hanno attaccato il villaggio di Chakama erano pesantemente armati e parlavano tra di loro in somalo. Per far luce sul rapimento, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per sequestro di persona a scopo di terrorismo ed è rimasta in contatto con il governo del Kenya per ritrovare la volontaria italiana.
Silvia Romano, gli arrestati in Kenya per il rapimento
Sono stati gli stessi tre presunti rapitori a processo (Ibrahim Adhan Omar, libero su cauzione, scappato e ora irreperibile; Moses Lwali Chembe, a piede libero per aver pagato la garanzia; Abdullah Gababa Wario, in carcere) a confessare com’è nata la vicenda.
Reclutati da Said Adhan, l’uomo che avrebbe pianificato il sequestro, con lui hanno pattuito un compenso di 100 mila scellini (più o meno 890 euro). Said Adhan è stato per ben tre volte a Chakama e ha dormito nella guest house Togo, di fronte a quella dove abitava Silvia, affittata dalla sua organizzazione Africa Milele. Said Adhan, keniota di etnia somala orma, è attivamente ricercato dallo scorso gennaio, ma risulta scomparso.
Una delle sue mogli, Rukia, abita in un villaggio poco a nord di Malindi, Gersen, verso il confine con la Somalia: dice che il marito non si fa vedere da più di un anno. Proprio a Garsen hanno soggiornato in gennaio, cioè dopo il rapimento due volontari italiani colleghi di Silvia.
Gli imputati hanno poi confermato che a prelevare la volontaria italiana sarebbero stati in sette. Said Adhan, il capo, avrebbe caricato la ragazza in spalla e tutti assieme hanno guadato a piedi il fiume Galana, al di là del quale avevano lasciato due motociclette.
Quattro sono saliti in sella assieme a Silvia e si sono allontanati, dando appuntamento agli altri tre per l’indomani, e assicurando che avrebbero pagato il pattuito. Invece sono scomparsi, lasciando i tre complici a bocca asciutta.
Il presunto rapitore
Il 22 novembre la polizia del Kenya aveva identificato il presunto rapitore di Silvia Costanza Romano: secondo quanto riferito dal quotidiano keniota Daily Nation, che cita a sua volta fonti locali, si tratterebbe di Said Abdi Adan. Malik Said Gasambi, un abitante del villaggio di Chakama in cui viveva Silvia Romano, ha raccontato ai giornalisti che Adan ha preso in affitto una casa nel villaggio insieme ad altre due persone qualche giorno prima del rapimento. “Ho dato loro due stanze in cui hanno passato le notti a masticare Qat (pianta classificata come droga, nrd)”, ha raccontato l’uomo. “Se ne sono andati a tutti, a sorpresa, dopo l’attacco, senza avvertire nessuno e senza fare rumore”, ha aggiunto.
Gli audio
Novità sul caso Silvia Romano sono poi arrivate dal quotidiano online Africa Express, in un’inchiesta ripresa anche dal Fatto Quotidiano realizzata da Massimo Alberizzi, secondo il quale, dietro la scomparsa della 23enne in Kenya, ci sarebbero state gravi carenze nelle indagini.
Ripercorrendo i mesi trascorsi in Kenya da Silvia, l’inchiesta ha messo in luce nuovi aspetti sulla permanenza della ragazza nel paese africano. Sulle ragioni alla base del sequestro c’erano tre ipotesi: ottenere un riscatto; tapparle la bocca su casi di pedofilia a Likoni; mettere a tacere un caso di molestie a Chakama.
Tra le varie tappe ripercorse dall’inchiesta, c’è il periodo in cui Silvia ha pernottato alla guest-house Marigold, nel centro di Mombasa. Silvia avrebbe dormito lì in più occasioni: una prima volta il 22 settembre e poi la notte tra il 5 e il 6 novembre, come risulta dai registri. Eppure Alberizzi rileva che in quella struttura la polizia che si occupa delle indagini non ha mai messo piede.
“Quando abbiamo saputo del rapimento della ragazza – ha raccontato il figlio della proprietaria della struttura – pensavamo di ricevere la visita di qualche investigatore, ci siamo meravigliati, non è comparso nessuno”.
La pista della denuncia per pedofilia
Si tratta naturalmente di una ricostruzione che andrà approfondita, ma la tesi del giornalista è che Silvia potrebbe essere stata fatta sparire in quanto a conoscenza di casi di molestie e pedofilia. Non vi sarebbe stata dunque alcuna volontà di ottenere un riscatto da parte dei sequestratori – tre dei quali sono peraltro in carcere -, bensì un preciso mandato da assolvere.
Una figura chiave potrebbe essere quella di Davide Ciarrapica, nella cui struttura – l’orfanotrofio di Mombasa – la giovane cooperante aveva deciso di prestare servizio dopo averlo conosciuto a una festa di beneficienza.
Ebbene, lì sarebbe stata testimone di “cose poco corrette e imbarazzanti” e di “atteggiamenti strani di Davide e il suo socio”. Cioè il figlio di un politico locale che, secondo un inquirente intervistato da Alberizzi, godrebbe in Kenya di “protezioni potenti”.
A gettare ulteriori ombre sulla vicenda è inoltre il ritrovamento di un audio WhatsApp in cui Silvia, nove giorni prima di scomparire, avrebbe raccontato di essersi recata dalla Polizia per denunciare un uomo, Francis Kalama, per “atteggiamenti equivoci nei confronti di alcune bambine”. Persona, anche questa, sparita nel nulla e mai arrestata come sarebbe stato promesso, invece, alla cooperante. Le gravi criticità riscontrate nelle successive indagini – documenti spariti, informazioni carenti – hanno poi fatto il resto, portando la situazione a una fase di stallo.
La pista somala
Silvia Romano “è stata costretta a indossare un niqab” che lascia scoperti solo gli occhi, e i rapitori “le mettono sul viso e sulle mani” del fango per non farla riconoscere. Lo hanno detto all’Ansa alcune fonti. I sequestratori le hanno tagliato le treccine con un coltello. I suoi capelli sono stati ritrovati domenica scorsa nella foresta a nord di Malindi.
“È naturale che i rapitori abbiano fatto questo, perché si trovano in una zona a prevalenza musulmana caratterizzata dalla presenza di tribù di origini somale, tra cui gli ‘Orma’ a cui appartengono i sequestratori”, ha specificato la fonte.
Silvia Romano sarebbe stata rapita da criminali comuni che, poi, l’hanno ceduta a un’altra banda, probabilmente i terroristi di al Shabaab e portata in Somalia. E le preoccupazioni di Sergi derivano proprio da questo. Le condizioni sul terreno, in questi mesi, sono precarie: piogge e alluvioni, che impediscono gli spostamenti, ma diventano condizioni ideali per i raid arei sulle postazioni dei terroristi. Ed ecco il ricordo del cooperante Giovanni Lo Porto, rapito in Pakistan da Al Qaeda, e vittima – “effetto collaterale” – di un bombardamento americano.
Poi vi è una nota di cronaca. Il processo ai tre degli otto membri della banda che ha rapito Silvia – Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraiam Adam Omar – è stato nuovamente rinviato, questa volta perchè Adam Omar, in libertà su cauzione e considerato l’uomo più pericoloso dei tre, non si è presentato all’ultima udienza, quella del 14 novembre. I giudici lo hanno dichiarato “formalmente” latitante.
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