“É importante capire perché sia successa una cosa così grave tra due paesi storicamente amici”. È passato decisamente in sordina l’intervento dell’ad di Eni (il colosso degli idrocarburi controllato in parte dallo stato italiano), Claudio Descalzi, in commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Nessun quotidiano ha riportato l’audizione, eppure dopo 5 anni di indagini e di interferenze egiziane, dovrebbe quantomeno incuriosire la versione ufficiale dell’azienda sul caso Regeni. Non fosse altro per i numerosi e cospicui interessi che il colosso ha in Egitto.
L’Eni è presente nel Paese dal 1954 e attualmente opera nell’esplorazione e nella produzione petrolifera, nella raffinazione, nell’estrazione del gas e nella chimica. La produzione petrolifera annuale è valutata in 27 milioni di barili; quella di gas in 15,6 miliardi di m³, mentre la produzione di idrocarburi è di 129 milioni di barili. Il primo dicembre 2020 al Cairo, l’Eni ha firmato una serie di accordi con la Repubblica Araba d’Egitto e le sue aziende pubbliche egiziane che operano nel settore petrolifero e dell’estrazione del gas naturale (l’Egyptian General Petroleum Corporation e l’Egyptian Natural Gas Holding Company) per riavviare la funzionalità dell’impianto di liquefazione della città portuale di Damietta, nel Delta del Nilo, a partire del primo trimestre del 2021.
Ma i lavori in Egitto non si fermano qui. Nelle acque profonde del Delta del Nilo, a settembre 2019 il nostro colosso energetico ha avviato la produzione del giacimento a gas di Baltim South West, anche stavolta in joint venture con la multinazionale British Petroleum. La produzione avviene da una nuova piattaforma offshore collegata all’impianto a terra di Abu Madi, attraverso un nuovo gasdotto lungo 44 chilometri.
L’elenco dei lavori continua. Ed eccoci alle perforazioni in acque profonde e attività esplorative nel Mediterraneo, a una cinquantina di chilometri a nord della penisola del Sinai, nell’ambito della concessione ‘Nour North Sinai’. Qui Eni opera con il 40 per cento di quote della stessa concessione.
Sul sito di Eni si apprende: “Le attività di esplorazione e produzione in Egitto sono regolate da contratti di Production Sharing Agreement (PSA). Le principali attività produttive sono condotte nel blocco Shorouk (Eni 50%), nell’offshore del Mediterraneo, con il giacimento a gas di Zohr nella concessione Sinai, principalmente nei giacimenti Belayim Marine-Land ed Abu Rudeis (Eni 100%), nel Deserto Occidentale, nelle concessioni Melehia (Eni 76%,) e South West Meleiha (Eni 100%,) la cui produzione è stata avviata nel 2019, Ras Qattara (Eni 75%) e West Abu Gharadig (Eni 45%) e nelle concessioni di Ashrafi (Eni 50%), Baltim (Eni 50%), Nile Delta (Eni 75%), North Port Said (Eni 100%), North Razzak (Eni 100%) e Temsah (Eni 50%). Inoltre, partecipiamo nelle concessioni in produzione di Ras el Barr (Eni 50%) e South Ghara (Eni 25%).
Cosa ha detto Descalzi
“Ogni volta che sono andato in Egitto ho ribadito, anche nel periodo in cui non c’è stato il nostro ambasciatore, a livello governativo e anche con il presidente al Sisi, la necessità di fare chiarezza e di collaborare con l’Italia su quanto era successo per il bene della verità, per il bene dell’Italia e anche dell’Egitto, perché non si possono lasciare ombre su eventi così gravi. Mi sono fermato a quello perché una persona che rappresenta un’industria non parla in modo così diretto, però il credito era importante perché abbiamo fatto scoperte che non dico abbiano salvato il Paese, però sono comunque molto importanti.
“Nel 2014 l’Italia era probabilmente il Paese di riferimento per l’Egitto, adesso la situazione è diversa. L’Egitto rappresenta tante cose nel mondo arabo e non solo. Con tutta la parte atlantica i rapporti sono diversi, c’è stata un’evoluzione. Non tanto per demerito dell’Italia, sarebbe comunque avvenuta l’Egitto è diventato sempre più interessante. Anche se ci sono stati problemi, la primavera araba è un punto, i problemi a Suez e il crollo del prezzo del petrolio e del gas. L’Egitto ha vissuto un periodo non semplice. Ma con l’avvento di Al Sisi c’è stata una grossa apertura, sia verso Est che verso Ovest, che verso Nord che verso Sud, insomma è diventato baricentro. La politica egiziana è molto più aperta a livello internazionale”.
“Sul caso Regeni è molto difficile esprimere delle valutazioni personali, prima di tutto perché non ho tutti gli elementi, secondo perché è un caso così difficile, così complesso, che ogni valutazione personale o è male interpretata o può essere distorta o può essere menzoniera. In un caso così tragico le valutazioni personali sono inopportune, così come per tutte le cose importanti. Preferirei non dire cosa penso, rappresenta solo me stesso. In campo economico la competizione c’è, pensiamo a tutti i successi esplorativi di Eni negli ultimi anni, ma come c’è sempre stata. Non penso che possa essere sfociata in eventi di questo tipo, è facile pensarlo ma non credo che sia giusto. Io penso che sul caso Regeni sia corretto andare su fatti oggettivi, come fa la magistratura che cercare di filtrare le sensazioni dagli elementi. La verità può essere intravista ma deve risultare dall’Egitto. L’Egitto deve dare una versione giusta, credibile, oggettiva di questo, penso che abbia cercato di farlo. Non lo so. Credo che la cosa più giusta sia insistere e continuare per capire cosa è successo. E’ un nodo fondamentale per poter riprendere un rapporto normale di amicizia.
“Il caso Regeni e il fatto che da 5 anni ci sono indagini e momenti difficili ha creato dei problemi a livello commerciale. Eni non è in una situazione commerciale, non compriamo prodotto, noi investiamo, prendiamo dei rischi. Tutto il gas che noi troviamo lo vendiamo all’Egitto, questa è una cosa importante, non è che andiamo nel Paese, sfruttiamo le risorse e le esportiamo. Diamo energia all’Egitto. Lavoriamo in Egitto con una società mista e stiamo in una situazione commerciale completamente differente. Per quello che riguarda Eni non abbiamo avuto contraccolpi (dal caso Regeni ndr). In questo periodo, per essere una compagnia di Stato, abbiamo una double flag, abbiamo sempre cercato e ribadito l’importanza di chiarire questa situazione, proprio per i rapporti che ci sono tra i due Paesi.
Parlando ancora dell’Egitto, l’ad di Eni, ha detto che “se non vengono rispettati i diritti umani si mina la stabilità di un Paese, come la minano altri fattori, quali la povertà, la mancata crescita e sviluppo, il mancato accesso all’educazione”, ma “se i diritti umani non vengono rispettati si innescano implosioni nei Paesi”. Comunque, in base all’analisi di Eni che utilizza anche sistemi di valutazione esterni all’azienda, “l’Egitto non è tra i Paesi più rischiosi, c’è una stabilità nei contratti e nei pagamenti che ormai da 4-5 vengono fatti regolarmente”.
L’intervento equilibrato e ponderato dell’ad di Eni che non lascia spazio a divagazioni di sorta o a commenti fuori dal seminato dice comunque molto sullo stato attuale delle cose tra i due Paesi. E se in qualche modo c’è un’esortazione nell’andare avanti con le indagini, dall’altro lato l’attenzione verso la “sensibilità” di Al Sisi e del suo operato resta alta. Non una parola sui depistaggi, accertati, non una parola sulla campagna diffamatoria portata avanti dal governo egiziano sulla figura del giovane ricercatore.
Altri due elementi emergono da questa audizione: non si può certo dire che le domande rivolte a Descalzi dai membri della Commissione siano stato così incisive, anzi, a ben vedere, si legge un po’ in tutti – intonazione compresa – una certe deferenza nei confronti del rappresentate dell’azienda. Infine, resta l’amarezza e il dubbio che i media italiani abbiamo taciuto, volontariamente, questo intervento sul quale è calato uno strano, assordante, silenzio.
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