Su 42 articoli acquistati dai siti web di Shein in Austria, Germania, Italia, Spagna e Svizzera e 5 articoli da un negozio a Monaco, il 96% conteneva sostanze chimiche dannose come formaldeide, ftalati, Pfas e metalli pesanti: è il risultato di un’indagine di Greenpeace, che ha comprato e fatto analizzare alcuni capi di abbigliamento del noto brand di fast fashion per scoprire se gli enormi volumi e i tempi di consegna rapidi si rivalessero sulla (scarsa) attenzione alla gestione delle sostanze chimiche nella filiera produttiva. Dai dati di un laboratorio indipendente utilizzato dall’associazione per i rilievi emerge che 7 dei 47 prodotti contenevano sostanze chimiche pericolose in concentrazioni addirittura superiori rispetto ai limiti stabiliti dalle leggi europee.
Questi sette articoli del tutto fuorilegge, realizzati con materiali sintetici derivanti dalla raffinazione dei combustibili fossili. Concentrazioni di ftalati superiori a 100mila mg/kg, fuori scala rispetto al limite fissato dal regolamento europeo, che è di mille mg/kg. Il livello più alto è stato trovato su alcuni stivali da neve acquistati in Svizzera: 685mila mg/kg di Dehp, un composto del gruppo degli ftalati. Nel 32% dei casi analizzati le concentrazioni di queste sostanze sono a livelli comunque considerati preoccupanti. Il rapporto ‘Taking the shine off Shein” dell’organizzazione ambientalista punta il dito contro i rischi del fast fashion, che con i ritmi e i modelli di business di Shein è diventato “ultra fast fashion”.
“Il marketing astuto di Shein bombarda i giovani, attraverso nuove piattaforme di social come TikTok, con prodotti venduti a prezzi stracciati, promossi da influencer che ottengono in cambio prodotti gratuiti e altri vantaggi per fare pubblicità” denuncia Greenpeace, sottolineando che “poco si sa dei fornitori che realizzano questi prodotti per il marchio cinese, delle migliaia di lavoratori delle sartorie nel Guangdong, in Cina, che trasformano ordini in prodotti 7 giorni su 7, e ancor meno delle fabbriche che tingono i loro tessuti durante le fasi produttive che producono il maggior inquinamento delle acque”.