Una questione di privacy ma anche di dignità e di libertà. La consuetudine di seppellire i feti o i prodotti del concepimento sotto delle croci in cui è riportato il nome delle madri, senza averne ottenuto prima il consenso, potrebbe avere le ore contate. Mentre la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta e l’Autorità Garante per la Privacy sta facendo degli accertamenti, in Consiglio regionale del Lazio è infatti stata lanciata una proposta di legge (qui il testo completo), presentata da Alessandro Capriccioli (+Europa) e Marta Bonafoni (Lista civica Zingaretti) che mira a modificare l’attuale procedura. Abbiamo intervistato la consigliera Bonafoni per capire meglio su quali punti si vuole intervenire:
L’autorizzazione delle donne è al centro della proposta di legge. È quello allora il punto cruciale?
“Quello che si è verificato al cimitero Flaminio di Roma è un fatto gravissimo: apporre al luogo in cui viene sepolto un feto la croce e il nome della donna senza il suo consenso è una violazione non solo della sua privacy, ma anche della sua libertà e della sua dignità. La legge, che è composta da un paio di articoli, punta tutto sull’esplicita richiesta della donna rispetto alla volontà o meno di procedere con la sepoltura. E anche, nel caso aderisca alla sepoltura, le modalità della stessa. Da una parte vogliamo evitare che con il diniego della donna si proceda in ogni modo, dall’altra garantiamo la richiesta esplicita alla donna se vuole mettere o no il nome. O qualche simbolo religioso”.
C’è stato un vuoto legislativo che ha permesso tutto questo?
“Il caso venuto alla luce con la storia di Marta Loi (e poi denunciato da molte altre donne) non è tanto frutto di un vuoto legislativo, quanto di un’ambiguità legislativa dentro la quale si insinua poi il regolamento che rende possibile questa cosa orribile. Cioè una donna che si rende conto solo una volta al cimitero che c’è il suo nome su una croce. Il fatto di Marta ci ha messo di fronte a un evidenza: c’è un arbitrio dentro questa storia e l’arbitrio non è accettabile”.
Anche emotivamente è molto dura ritrovare il proprio nome su una croce…
“Questa cosa ha fatto ripensare a queste donne a un momento difficile, ha fatto rivivere il proprio aborto quando magari lo stavano superando”.
Su cosa non c’è chiarezza?
“Il regolamento della Polizia mortuaria del 1990, che è quella che sovrintende a questo tipo di vicende, all’articolo 7 dice che nei casi come quello di Marta Loi i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare il seppellimento all’unità sanitaria locale. Sono i parenti o la stessa donna che devono procedere verso la richiesta. Quindi io sono tenuta a presentare domanda, ma che succede se non presento domanda? E soprattutto è obbligatoria questa domanda? Molte donne questi giorni hanno denunciato che non gli era stata fatta firmare nessuna domanda”.
Questa ambiguità esiste anche in altre norme sullo stesso tema?
“Ritengo che ci sia un filone legislativo che ha a che fare con il corpo delle donne, con l’interruzione di gravidanza dove ci sono troppe zone grigie”.
Come funziona nel caso del Cimitero Flaminio?
“C’è un regolamento dell’Ama che dice una cosa ancora diversa, cioè: “I prodotti del concepimento dalla 20esima alla 28esima settimana vengono sepolti su richiesta dei famigliari o comunque su disposizione della Asl. E’ qui che però si arriva alle differenze: cioè se quel prodotto arriva al Cimitero Laurentino c’è un codice, se arriva al Flaminio ne ha un altro…”.
E l’ospedale può tranquillamente far uscire il feto?
“L’ospedale deve comunque per forza smaltire quel prodotto abortivo, che esce dall’ospedale con un trasporto. Quel trasporto deve per legge avere le generalità della madre. Poi è al cimitero che non deve apparire il nome”.
Per questo la legge….
“Sì, con la proposta di legge interveniamo proprio su questo. Se la donna dice no è no. Non esiste che subentri un terzo soggetto”.
Il dibattito
La vicenda del prodotto abortivo a Prima Porta, scoperto dalla madre che, pur non avendone dato l’autorizzazione, aveva trovato il proprio nome riportato sulla croce, ha scatenato un acceso dibattito. In merito alle responsabilità l’AMA, che gestisce i servizi cimiteriali, aveva dichiarato che la sepoltura “è stata effettuata su specifico input dell’ospedale presso il quale è avvenuto l’intervento ed autorizzata dalla Asl territorialmente competente”. Dal canto suo, però, il Direttore Generale del San Camillo aveva risposto che “Il problema di violazione della privacy è avvenuto all’interno del Cimitero Flaminio, e allargando il campo ritengo che siano proprio i cimiteri i luoghi dove sarebbe utile lavorare per attualizzare una normativa vecchia di trenta anni, che necessita di una modernizzazione capace di accogliere sensibilità diverse da quelle che all’epoca non c’erano”. Ora c’è la possibilità di farlo, grazie alla nuova proposta di legge regionale.
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