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    Sea Watch, la Corte europea dà ragione a Salvini. E si aggiunge così alla lista degli ignavi

    Credit: FEDERICO SCOPPA / AFP
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 25 Giu. 2019 alle 19:43 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:34

    Sea Watch Corte europea  diritti umani – Questa sentenza di oggi è uno spartiacque, una data che segna un confine, un giudizio che pesa come un fardello, gravido di responsabilità morali. Adesso non c’è più solo Matteo Salvini, a tenere in quarantena i migranti. Adesso anche la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo mette il suo sigillo all’infamia, rifiutando il ricorso della SeaWatch.

    Dal 12 giugno i profughi salvati dalle acque stanno in mezzo al mare. Da tredici giorni una mano lava l’altra e a nessuno importa nulla. Da sei giorni un solo uomo, Don Carmelo La Magra, 38 anni, insieme ai suoi parrocchiani dorme sul sagrato di una chiesa per condividere in mondo solidale la condizione delle 42 persone – uomini e donne – che la vigliaccheria degli eurogoverni, e l’arroganza del nostro, hanno trasformato in carne da macello, lasciata a marcire sulle punte di una nave.

    Che Salvini si danni l’anima per impedire a questi naufraghi di mettere piede a terra è fin troppo chiaro. Ma che adesso gioisca, perché considera questa sentenza una avallo della sua politica, è una piccola infamia aggiuntiva. Non per lui in questo caso – di lui abbiamo già detto e scritto – ma per le belle animelle che pretendono di difendere i diritti umani, ma lo fanno con un moto di trasporto emotivo da impiegati del catasto che si applicano alle visite di una planimetria.

    Sea Watch Corte europea  diritti umani –  Si possono avere tante idee sul problema dell’immigrazione e si può anche pensare che sia giusto che l’Europa debba cambiare le sue procedure. Non che si lavi le mani del problema, non che abbandoni delle persone che fuggono dalla disperazione al loro destino. Perché, poi, alla fine, il punto è sempre questo: in una scatola di latta in mezzo al mare, ci sono 42 persone senza approdo e senza prospettiva: molti sono giovani, molte sono donne, e tutte queste persone, che hanno rischiato la vita, non possono sbarcare.

    Sì, è vero, sono stati fatti scendere i bambini e i malati come sempre si fa in tempo di guerra, come per un obbligo di carità (e di immagine) espletato controvoglia. Ma tutti gli altri immigrati sono bloccati in mezzo al mare, in attesa che qualcuno decida.

    Stanno al largo, sotto il sole dell’estate che picchia, e non è una bella vita. Dicono: non rischiano di morire, però. Si, certo, però sono in una condizione umana drammatica, e forse non ce ne accorgeremmo nemmeno, forse ce ne dimenticheremmo molto facilmente, se non ci fossero questi corpi che si mettono di mezzo bloccando l’ingranaggio dell’indifferenza.

    Il corpo di un parroco e dei suoi fedeli, che hanno deciso di mettersi in parallelo con quelli di chi sta con la vita sospesa al largo. I colori di coloro che dicono: “Finché non scendono loro, noi resteremo qui”. Poi ci sono il coraggio di una donna – un giovane capitano donna di trent’anni, Carola Rakete – e del suo equipaggio. E poi, da stasera, c’è il nulla. O meglio: ci sono le pance piene e le coscienze belle degli eurocrati a pancia piena che fanno la morale ma non muovono un dito.

    Ma, da stasera, al corteo degli ignavi si è aggiunto anche il piccolo collegio di legulei che hanno voltato la testa da un lato.

    Sea Watch Corte europea  diritti umani –  Lo so, lo so, che il sentimento di opinione che apparentemente prevale nel nostro Paese è un altro: so che l’umore collettivo è quello di chi tende a dire chi se ne frega. So che adesso questo giudizio diventerà l’alibi di molti: come se scappare dalle carceri libiche non fosse una motivazione sufficiente per ottenere il diritto di asilo, riconosciuto da tutte le convenzioni internazionali.

    Viviamo in un tempo barbaro in cui pietà l’è morta. Questa sentenza di oggi è uno spartiacque, una data che segna un confine, un giudizio che pesa come un fardello. Ed è per questo che stasera stiamo con i cuori al fianco del vite sospese e al fianco di chi resiste: Don Franco, Carola – che minaccia di forzare il blocco e probabilmente lo farà domani -, i fedeli che si impongono le notti sul sagrato.

    Perché ci sono momenti in cui chi vince ha la forza, ma non la forza della ragione. I momenti bui, il tempo delle deportazioni, dei golpe e dei desaparecidos. Eppure alla Corte europea dei sette nani bisognerebbe ricordare proprio questo. Che i diritti non possono essere cancellati. E che le coscienza non possono essere spente a maggioranza semplice. Almeno finché qualcuno troverà la forza di mettersi con il corpo dalla parte dei più deboli, anche senza sapere se si vince o si perde.

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