«Dal 2005 al 2015 ho cercato inutilmente una risposta ai miei problemi psicologici e relazionali, che mi avevano portata a 36 ricoveri psichiatrici». Chiara Bazzan ha 45 anni e vive e lavora a Padova. Due lauree, una in Economia e una in Psicologia, ha dovuto aspettare oltre 10 anni prima che la sua condizione fosse riconosciuta come disturbo dello spettro autistico.
La diagnosi ufficiale è arrivata solo nel 2017, quando Chiara aveva già più di 40 anni. In precedenza, sui fogli di dimissione dall’ospedale, venivano elencati disturbi differenti. Otto in totale, a volte da soli, altre combinati tra loro. «Schizofrenia, disturbo dissociativo, altre non specificate psicosi reattive, sindrome di depersonalizzazione, disturbo e reazione dissociativa non specificata, depressione maggiore, disturbo schizoaffettivo, disturbo di personalità», elenca Chiara leggendo i documenti che ha conservato.
«Preferisco parlare di “autismi” anziché di “autismo”, perché ne esistono molte forme diverse», dice a TPI il dottor Roberto Sacco, responsabile del Servizio per i disturbi del neuro-sviluppo presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.
«Se per i bambini la diagnosi di spettro autistico è diventata molto più semplice negli ultimi anni, per gli adulti la situazione è molto più complessa», sottolinea l’esperto. Nel suo ambulatorio, il dottor Sacco ha iniziato ad accogliere negli ultimi anni persone adulte, alcune anche tra i 40-50 anni, che arrivano chiedendosi se la loro situazione rientra nello spettro autistico. «Una domanda a cui non è affatto semplice rispondere».