Questa mattina davanti alla facoltà di Scienze politiche della Sapienza di Roma era in programma un convegno, organizzato da Azione universitaria, comitato studentesco vicino a Fratelli d’Italia, a cui erano stati invitati Daniele Capezzone, ex deputato di Forza Italia e Fabio Roscani, deputato di Fratelli d’Italia e presidente di Gioventù nazionale, per parlare di “capitalismo buono”.
Nel piccolo piazzale alberato antistante l’ingresso del dipartimento, studenti e studentesse del comitato di Scienze Politiche e del collettivo Link Sapienza avevano organizzato, contemporaneamente alla conferenza, un sit-in in segno di opposizione alla presenza dei due leader di centrodestra nell’ateneo: «Fuori i fascisti da La Sapienza» è lo striscione esposto da alcuni presenti.
In pochi minuti, però, la situazione è degenerata. La città universitaria è stata raggiunta da un gruppo di agenti in tenuta antisommossa, armati di manganelli, che hanno chiuso i cancelli della facoltà bloccando gli studenti e le studentesse al suo interno. I ragazzi in protesta, invece, del tutto disarmati e pacifici, sono stati colpiti con i manganelli, nonostante non avessero nulla in mano che potesse potenzialmente ferire o provocare danni. «La manifestazione è stata chiamata per ribadire che non c’è spazio per persone fasciste nell’ateneo, dopo La russa e Fontana presidenti delle Camere, ma anche la stessa Meloni, si è visto chi fa parte del partito di Fratelli d’Italia. L’intenzione era anche quella di porre un contraddittorio all’interno dello stesso convegno visto che l’ateneo, in più occasione, ha bloccato convegni sulla Palestina e il Kurdistan, solo perché non era presente una parte che parlasse a nome di Israele», racconta Thomas Clist, studente di Lettere e coordinatore del comitato studentesco Link Sapienza.
La manifestazione, dunque, si è svolta in maniera pacifica: c’era chi seguiva dalle scale degli altri dipartimenti, chi nel piazzale di fronte all’ingresso di Scienze politiche, chi dai corridoi. Eppure, le cariche degli agenti sono state più di una, durante le quali due ragazzi sono rimasti feriti, rispettivamente alla testa e a una mano; un terzo è stato trascinato via di peso, solo perché stava sventolando una bandiera antifascista, e un quarto identificato, ammanettato e portato in questura. I feriti, per fortuna non hanno riportato ferite gravi, «so che in ospedale gli hanno messo dei punti, quindi stanno entrambi bene, per fortuna la cosa non si è trasformata in tragedia», dice Thomas, «dopo qualche ora, intorno a ora di pranzo, hanno rilasciato anche il ragazzo che avevano portato in questura», precisa.
Dopo le botte, «ci siamo fermati, perché non volevamo che qualcun altro si facesse male e ci siamo diretti in corteo verso il rettorato, prosegue Thomas. «Siamo qui per dire che l’università non è la passerella dei partiti: sebbene sia al governo, sappiamo bene che Fratelli d’Italia porta ideologie fasciste. Hanno rinominato i ministeri. Hanno creato il Ministero dell’Istruzione e del Merito, quando noi sappiamo molto bene che il merito è un’invenzione di un sistema che punta a far sentire in colpa noi se non riusciamo a laurearci, come se fosse colpa nostra. È il sistema universitario, invece, inadeguato e va rinnovato. Serve a far sentire in colpa chi non riesce a laurearsi in tempo, perché magari lavora e non ha una famiglia alle spalle che riesce a pagare i suoi studi e la sua vita. Chi ci riesce, invece, viene esaltato», ha detto invece una studentessa che ha preso parte alla protesta.
L’intenzione del corteo era ottenere un incontro con la rettrice Antonella Polimeni, la quale, invece, è rimasta chiusa nel suo ufficio, né si è fatta avanti per richiedere il rilascio immediato dello studente arrestato. Solo poche ore dopo, attraverso un post su Instagram – «ormai comunica solo così», commenta Thomas – ha dichiarato che: «L’Università deve essere un luogo in cui si studia, si cresce, in cui bisogna incontrarsi e confrontarsi, ma non scontrarsi fisicamente. Condanniamo ogni forma di violenza e garantiamo, ad ogni individuo che agisca secondo i Principi costituzionali, il diritto a manifestare liberamente le proprie opinioni nel rispetto della pluralità delle idee».
«Siamo rimasti per un’oretta buona sotto la finestra del rettorato, ma non è sceso nessuno». Un dubbio, però, rimane: chi ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine? «Sono riuscito a farmi ricevere e a parlare con il prorettore vicario, il quale mi ha assicurato che l’intervento è stato disposto dalla questura, senza che quet’ultima avesse prima avvertito l’università. Dunque, da quello che raccontano loro, la Sapienza non ha chiamato la polizia, ma non so che pensare», conclude Thomas.
E mentre gli studenti venivano presi a colpi di manganello, Giorgia Meloni ha tenuto il suo primo discorso alla Camera dei deputati, durante il quale ha detto, fra le altre cose, che «difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza contro le politiche del nostro governo. Mi torneranno inevitabilmente alla memoria le mille manifestazioni a cui ho partecipato con tanta passione». Chissà se il suo Roscani l’aveva già informata dei fatti.
FUORI DALLA SCUOLA
L’episodio di violenza e repressione verificatosi il 25 ottobre alla Sapienza, però, non è l’unico. Un altro episodio si era già verificato, infatti, il 12 ottobre in un liceo di Parma, l’istituto tecnico Bodoni, dove i professori, in accordo con la preside, hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine per sedare una rissa. Due agenti hanno dunque fatto irruzione nel liceo, atterrato e immobilizzato un ragazzo di appena 14 anni. Il motivo è ancora da chiarire.
Gli studenti che hanno diffuso il video sui social sono poi stati «minacciati di denuncia – scrive in una nota il comitato studentesco – dalla preside. Una chiara dimostrazione da parte della scuola di voler insabbiare e sminuire l’accaduto, limitandone la circolazione. Noi studenti del Csa siamo certi che nessuna motivazione possa giustificare un così spropositato abuso di potere e di forza fisica su un ragazzino, appena quattordicenne, da parte di un uomo adulto».
La scuola dovrebbe educare al dialogo e al confronto. Non punire o reprimere. Ancor meno se questa repressione passa attraverso atti di violenza sugli studenti da parte delle forze dell’ordine.
Leggi l'articolo originale su TPI.it