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    Roma città infernale: viaggio nella capitale a 42 gradi

    Credit: AGF

    Edicolanti costretti a vendere all’esterno. Viaggiatori alle prese con il sole cocente. E lavoratori a rischio infortuni. Caronte ha infiammato la metropoli come non mai. È il riscaldamento globale a presentare il conto. Mentre politica e media sono distratti da altro

    Di Chiara Godino
    Pubblicato il 28 Lug. 2023 alle 07:00 Aggiornato il 31 Lug. 2023 alle 19:30

    Nella mitologia greca e romana, Caronte era il traghettatore dell’Ade. Trasportava le anime dei morti da una riva all’altra dell’Acheronte, il fiume degli inferi. Il nome di questo spaventoso personaggio è stato utilizzato da alcuni meteorologi per descrivere l’anticiclone proveniente dal nord Africa che sta interessando buona parte dell’Europa del sud, in particolare l’Italia. Nella giornata di martedì 18 luglio a Roma si sono sfiorati i 42°C, secondo il servizio meteorologico regionale del Lazio, ma il caldo umido non ha scoraggiato i turisti.

    A differenza dell’Acropoli di Atene, i principali siti culturali della capitale – come il Colosseo – non hanno chiuso temporaneamente le loro porte nelle ore più calde, nonostante “l’allerta rossa” emessa dal governo per la capitale e per altre diciannove città; mercoledì 19 luglio la lista è stata poi aggiornata e se ne sono aggiunte altre quattro.

    Una misura che indica l’intensità del caldo e che si ritiene rappresenti una minaccia per la salute di tutta la popolazione, non solo dei bambini e degli anziani. Le autorità pubbliche hanno però dato l’impressione di dover gestire la situazione, senza mettere in atto una vera pianificazione dei rischi: il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha annunciato l’istituzione di un numero verde nazionale, il 1500, disponibile dalle 8 alle 20, per ottenere informazioni su come proteggersi dall’ondata di calore o in quali strutture sanitarie dirigersi in caso di malessere.

    Il ministero ha inoltre esortato le persone a vestirsi di lino, a evitare di avventurarsi fuori durante le ore più calde, ridurre il consumo di alcol, caffè e bevande gassate e ha aumentato i servizi medici fuori orario. Misure che assomigliano a un rimedio momentaneo se guardiamo all’attuale crisi climatica e all’asfalto che si scioglie – letteralmente – sotto le suole delle nostre scarpe.

    Vita impossibile
    «Lo sappiamo da almeno cinquant’anni che esiste l’isola di calore urbano», commenta a TPI il climatologo Luca Mercalli. «I materiali utilizzati per costruire una città esaltano la temperatura perché al loro interno non hanno acqua. Il problema però è che il caldo sta aumentando e le città concepite per un clima più fresco, diventano ora invivibili. Certo, possiamo piantare alberi, ma nel centro storico di Roma, dove li metti?» conclude Mercalli.

    I romani, e in generale gli italiani, sono abituati alle estati calde, ma non così calde, soprattutto perché le ondate di calore sono arrivate dopo una primavera segnata da tempeste, inondazioni e temperature al di sotto della media. Un edicolante del quartiere Esquilino è stato intervistato dal Guardian e ha raccontato che per il troppo caldo si è messo a vendere i giornali all’aperto, fuori dal chiosco, perché dentro l’effetto serra l’avrebbe fatto svenire.

    Il corrispondente da Roma del Times ha invece ribattezzato la capitale “The infernal city” – il riferimento è a “Rome, the eternal city”, come gli anglosassoni chiamano spesso Roma. Tutti i media internazionali hanno così iniziato a raccontare la vita di turisti e cittadini nella capitale colpita da temperature che non si vedevano da circa 120 mila anni.

    Disattenzione mediatica
    I media italiani si sono invece concentrati su altro: lunedì 17 luglio, per esempio, mentre in alcune zone della Sardegna, della Puglia e della Sicilia si stavano per raggiungere i 48,8 gradi, la maggior parte delle prime pagine dei giornali riportava la richiesta di amnistia per gli evasori fiscali, sostenuta da Matteo Salvini. Non sorprende la scarsa copertura dei media nostrani sulla crisi climatica se pensiamo che per decenni i giornali di destra sono stati di proprietà o fortemente influenzati da Silvio Berlusconi: Il Giornale, Libero e La Verità fungono da portavoce per il governo di Giorgia Meloni, la cui strategia per affrontare la crisi climatica è vaga, e hanno dimostrato più volte di essere negazionisti.

    Vittorio Feltri, consigliere regionale in Lombardia per Fratelli d’Italia e direttore del quotidiano Libero, durante i giorni in cui si è verificata l’alluvione in Emilia Romagna aveva scritto nel suo editoriale le seguenti parole: «Per mesi un sacco di signori portasfiga hanno detto e ripetuto che siamo minacciati dalla siccità. Figuriamoci, oggi l’Italia è a bagnomaria. […] Ho dovuto togliere dall’armadio non solo l’ombrello ma anche l’impermeabile. Altro che siccità. Tra un po’, avanti di questo passo, dovremo venire a nuoto al giornale».

    O ancora, il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan, prendeva in giro i «Gretini secondo i quali la siccità è una prova dei cambiamenti climatici», riferendosi a Greta Thunberg, l’attivista svedese a lungo ridicolizzata dalle fazioni della stampa di destra. Infine per Andrea Giambruno, conduttore di Rete 4 nonché compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il caldo record di luglio dovuto al cambiamento climatico e all’anticiclone africano «non è poi una grande notizia». E come dimenticarsi dei meteorologi Paolo Sottocorona e Mario Giuliacci che hanno parlato di “minacce e terrorismo sul clima”.

    Aspettando la transizione
    Uno studio di Greenpeace, in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia, mostra come il 20% delle notizie diffuse dai più importanti quotidiani e telegiornali nazionali siano contro la transizione energetica e le azioni per mitigare il riscaldamento globale. Dalla ricerca risulta invece elevato lo spazio offerto alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del pianeta.

    «È da più di trent’anni che conosciamo il problema, e ogni volta ripetiamo le stesse cose come fosse la prima volta, come se si trattasse di un’emergenza temporanea che non riusciamo a vedere come una patologia cronica che andrebbe curata. Quest’intervista è uguale a quella del 2003, così come a quella dell’anno scorso», aggiunge Mercalli a TPI.

    «Non faremo passi avanti nemmeno questa volta, non appena tornerà il fresco, ce ne dimenticheremo. Io non mi definisco pessimista, sono uno spettatore che ha sempre meno speranze perché le cose che dicevano di fare vent’anni fa non le abbiamo fatte, così come quelle di dieci anni fa… subirò le conseguenze come tutti, e tra qualche anno ci accorgeremo che potremo più fare nulla. Il mio compito è quello di prevenire, avvertire di una situazione potenzialmente pericolosa dando soluzioni, ma ci tengo a sottolineare la gravità perché ciò che stiamo vedendo adesso è solo l’antipasto. I fenomeni saranno sempre più intensi e frequenti, le città sempre più inospitali».

    Canicola globale
    Ma l’aumento delle temperature di questi giorni sta causando problemi in tutto il pianeta e ci ricorda che il cambiamento climatico è una crisi globale: alle isole Canarie, in Spagna, un incendio ha costretto alla fuga quattromila residenti, in Grecia l’acropoli della capitale Atene è stata chiusa per alcune ore a causa del caldo estremo e sono scoppiati grossi incendi che hanno costretto all’evacuazione migliaia di turisti.

    Elaborazione Daniele Moscioni/TPI

    In Cina, in Medio Oriente e nella Death Valley negli Usa si sono registrati più di 50 gradi, mentre il ministero della Salute italiano ha previsto il più alto livello di rischio per ondate di calore in diverse città. L’ondata di caldo sul Mediterraneo è causata da un anticiclone, un sistema di alta pressione che proviene dal Nord Africa e che comporta poche precipitazioni, come quello che sta causando nel Nord America un aumento delle temperature in un’area abitata da oltre 100 milioni di persone: a Phoenix, in Arizona, la temperatura media giornaliera non è scesa sotto i 43 °C per più di due settimane, mentre a El Paso in Texas si è attestata intorno ai 38 °C. I Paesi asiatici come Cina, Laos, India e Thailandia, stanno affrontando ondate di calore già a partire dallo scorso aprile.

    Le alte temperature hanno causato la morte di centinaia di persone nel nord del subcontinente indiano, dove circa 300 abitanti sono stati ricoverati per sintomi legati al caldo. In Cina, domenica 16 luglio, è stato registrato un nuovo record con una temperatura massima di 52,2 °C nella città di Sanbao, nella regione occidentale dello Xinjiang uiguro. In Giappone la popolazione è stata avvisata sui rischi dovuti alle alte temperature, con massime intorno ai 40 °C. In Corea del Sud le piogge intense hanno causato inondazioni e allagamenti che hanno provocato la morte di almeno 40 persone, mentre oltre 100mila coreani hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni.

    Più di 30 persone sono morte nell’est dell’Afghanistan a causa delle forti piogge. Probabilmente nel corso di questa stagione estiva ci saranno altre ondate di calore e altri giorni “più caldi mai registrati” perché ci sono più fattori che contribuiscono a un aumento della temperatura media globale: l’emergenza climatica, l’estate nell’emisfero boreale e il fenomeno di “El Niño”, l’insieme di condizioni atmosferiche che si verificano periodicamente nell’oceano Pacifico ma che influenzano gran parte del pianeta. Sulla base dei risultati di un recente studio sui decessi correlati al calore in Europa – 61.672 morti durante l’estate scorsa – i funzionari di molte città hanno introdotto stazioni di raffreddamento e hanno esortato i residenti e i turisti a rimanere a casa.

    Ma quanto sono davvero funzionali queste soluzioni? E perché stiamo affrontando il tutto come se si trattasse di un’emergenza? Gli effetti del riscaldamento globale sono ormai sotto gli occhi di tutti.

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