Due figlie hanno rifiutato di far eseguire una trasfusione al padre, un ultranovantenne ricoverato, perché pretendevano prima di sapere se il sangue era di un donatore vaccinato contro il Coronavirus: un’informazione che non può essere divulgata perché le donazioni sono anonime, e che comunque non incide sulla sicurezza della terapia. È successo a Rimini, all’ospedale “Infermi”, giovedì 19 agosto.
A raccontare la vicenda a Repubblica è stato Rino Biguzzi, medico e coordinatore del comitato Programma “sangue plasma” dell’Ausl Romagna. Biguzzi ha parlato di un caso abbastanza estremo” e ha ribadito che “il percorso della donazione di sangue è sorvegliato a livello locale e nazionale. Ed è sicuro”.
Le figlie dell’anziano ricoverato, raccontano gli operatori sanitari, temevano che con la trasfusione sarebbe stato iniettato al paziente l’Rna, la molecola alla base di alcuni dei vaccini anti-Covid. Dopo un’accesa discussione, non hanno acconsentito alla trasfusione. Per fortuna, specificano i medici, la trasfusione non rappresentava una terapia salva vita nel caso del paziente, anche se “serve ad accelerare il processo di guarigione”. Per l’ultranovantenne è stata quindi utilizzata una terapia sostitutiva.
“Temevano che il sangue trasfuso potesse procurare un danno”, racconta Biguzzi. “Che oltre agli anticorpi venisse trasferito l’Rna”. Poi sottolinea: “Non c’è alcuna evidenza che con la trasfusione ci possa essere la diffusione del Sars-Cov-2. Non si trasmette il virus attraverso una trasfusione”. Per quanto riguarda l’Rna? “Il sangue subisce una lavorazione, una minima quantità di plasma è presente, ma questo aspetto riguarda decine di vaccinazioni. Non fa la differenza”.