Revenge Porn, la storia di D.A.: “Il mio video intimo girato a 16 anni finito su 77mila cellulari”
D.A. ha 19 anni, è nata e cresciuta in provincia di Cosenza e dallo scorso settembre si è trasferita a Milano per studiare Fashion Design al Politecnico. Cerca anche di farsi strada nel Photomodelling e sta studiando recitazione. La ragazza sta inseguendo i propri sogni in Lombardia, nella terra della Moda. Ma a inseguire lei è un incubo. Nell’aprile del 2017 il suo partner realizza con lei un video intimo, che nel giro di tre anni gira dappertutto. Nel liceo che frequenta e in tutti gli istituti d’Italia. Le crolla il mondo addosso. Ma non si dà per vinta. E decide di raccontare la propria storia, per dare coraggio a chi è vittima di Revenge Porn.
“È importante sottolineare che io non mi sono mai sentita in colpa. Il corpo è mio, decido io cosa fare con il mio partner e come. Non devo essere giudicata partendo dal presupposto che sapevo a cosa sarei andata incontro. Tante ragazze che hanno subìto la stessa cosa pensano di aver commesso un errore perché, secondo il pregiudizio comune, è la donna a sbagliare. Della serie: ‘Te la sei cercata’. Il sexting è una cosa bella, che lega molto due persone. Ma diventa orribile quando foto e filmati vengono divulgati, non quando una ragazza, come anche un ragazzo, decidono di realizzarli”.
Una storia di Reveng Porn
La modella racconta: “L’8 aprile del 2017 ho avuto un rapporto sessuale con il mio ormai ex ragazzo e lui ha deciso di registrare un filmino intimo. Io mi fidavo ciecamente di lui, ne ero innamorata. Più in là nel tempo, ho notato che il suo atteggiamento nei miei confronti era cambiato: era diventato freddo, distaccato. Ho scoperto inoltre che ha mostrato la nostra prestazione ad alcune persone. La cosa, per il momento, è sembrata finire lì”.
Dopo oltre un anno, l’incubo bussa alla porta: “Nel novembre del 2018 ho preso la decisione di candidarmi a rappresentante d’istituto. In quel frangente, diverse persone mi hanno riferito di aver ricevuto o visto il mio video tramite il mio rivale alle elezioni scolastiche. Ho così scoperto che il soggetto in questione aveva mostrato quel filmato intimo a tutti, specialmente a bordo degli autobus popolati da studenti, per utilizzarlo come propria campagna elettorale. Lo mostrava dal suo telefono, chiedendo a tutti se volevano che fossi io, ‘questa puttana’ per dirla come lui, a rappresentare la scuola”.
Il 25 novembre scatta così la denuncia. Ma essendo D.A. ancora minorenne, non può agire da sola: “Ho raccontato tutto ai miei genitori e a mio fratello, e alla fine abbiamo deciso di sporgere una denuncia, contro ignoti, per il reato di pornografia minorile (nel 2018 il reato di Revenge Porn non esisteva, ndr). È stato uno dei momenti più bui della mia giovane vita. Per risparmiare alla mia famiglia l’imbarazzo e l’umiliazione di sentire parlar male di me, ho anche pensato di togliermi la vita, perché così magari tutti avrebbero detto ‘era una brava ragazza’ anziché insultarmi. Ma con orgoglio, e grazie ai miei parenti e ai pochissimi amici che hanno deciso di starmi vicino, ne sono uscita mentalmente. E sto cercando di uscirne anche legalmente”.
Il 9 marzo del 2019 si svolge l’ultimo e agghiacciante atto: “Al termine di una lezione d’italiano, scopro che il mio video ha raggiunto 52.400 visualizzazioni in un canale Telegram pornografico che conta 77mila iscritti. Decido di agire nuovamente per vie legali”. Passano così dei mesi, fino al 9 settembre del 2019, giorno in cui le forze dell’ordine le rivelano che stanno indagando sui dispositivi informatici del suo ex ragazzo, il quale (essendo maggiorenne all’epoca dei fatti) risulta indagato.
Il Codice Rosso
Se tutto questo fosse avvenuto dopo la configurazione del reato di Revenge Porn, avvenuto grazie alla legge numero 69 del 19 luglio 2019, D.A. avrebbe potuto appellarsi al cosiddetto Codice Rosso. Entrata in vigore il 9 agosto 2019, la legge punisce chi realizza e diffonde immagini o video privati, sessualmente espliciti, senza il consenso delle persone rappresentate, per danneggiarle a scopo di vendetta o di rivalsa personale. Viene anche punito chi “condivide” le immagini online. La pena prevede la reclusione da uno a sei anni e una multa da 5.000 a 15.000 euro. Si tiene anche conto delle aggravanti del caso. Per esempio, se il reato di pubblicazione illecita è commesso dal coniuge, anche se separato o divorziato. Oppure se commesso da una persona che ha, o ha avuto, una relazione affettiva con la persona offesa.
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