La didattica a distanza (DaD), soluzione obbligata per proseguire le lezioni a scuola durante la pandemia di Covid-19, ha provocato notevoli danni all’apprendimento dei giovani, soprattutto alle superiori e in particolare in materie come Italiano e Matematica, rischiando di farci perdere un’intera generazione. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto Invalsi sui risultati raggiunti dagli alunni delle scuole secondarie di primo e secondo grado, secondo cui i maturandi mostrano competenze da terza media.
Il calo rilevato nella preparazione scolastica è generalizzato in tutta Italia, con la sola Provincia autonoma di Trento a mantenere un livello sopra la media del 2018 e del 2019. Penalizzate molte Regioni del Sud, dove gran parte degli studenti non raggiunge la soglia minima di competenze in Italiano.
Ma non è solo questione di geografia. La quota di alunni che ha mostrato una preparazione al di sotto del livello minimo cresce di più tra gli studenti appartenenti a famiglie socialmente svantaggiate e presumibilmente anche tra immigrati e figli di immigrati.
I danni provocati dalla pandemia nelle scuole
Il quadro tracciato dal Rapporto Invalsi 2o21 è da brividi: alle medie il 39 per cento degli alunni ha mostrato competenze inadeguate in Italiano – ossia non in linea con quanto stabilito dalle Indicazioni nazionali – un dato che sale addirittura al 45 per cento in Matematica. Ancora peggio alle superiori, dove il 44 per cento degli studenti ha ottenuto risultati insoddisfacenti in Lingua e letteratura italiana, arrivando al 51 per cento in Matematica.
Relativamente stabile nella propria inadeguatezza anche la preparazione in Inglese, sia nella comprensione scritta che orale. A livello nazionale, il 51 per cento degli alunni (+3 punti percentuali rispetto al 2019) si è mostrato impreparato in Inglese-reading (B2), una percentuale che arriva fino al 63 per cento (+2 punti percentuali rispetto al 2019) in Inglese-listening (B2).
Preoccupante lo stato delle competenze in Inglese tra i giovani al termine dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado. Per quanto riguarda la comprensione scritta, la maggior parte dei maturandi di Campania (68 per cento), Puglia (67 per cento), Calabria (67 per cento), Sicilia (66 per cento), Sardegna (63 per cento), Basilicata (61 per cento), Abruzzo (61 per cento), Umbria (56 per cento) e Lazio (55 per cento) si è mostrata impreparata.
Una percentuale che sale ancora per quanto riguarda la comprensione orale, allargandosi anche al Centro-Nord dove la maggior parte degli studenti dell’ultimo anno in Calabria (82 per cento), Campania (81 per cento), Sicilia (80 per cento), Basilicata (80 per cento), Puglia (78 per cento), Abruzzo (76 per cento), Sardegna (71 per cento), Umbria (67 per cento), Molise (67 per cento), Lazio (65 per cento), Marche (61 per cento), Toscana (59 per cento), Liguria (54 per cento), Piemonte (54 per cento), Emilia-Romagna (53 per cento) e Veneto (51 per cento) non ha raggiunto risultati adeguati.
“La DaD ha supplito nell’emergenza ma vi sono state perdite di apprendimento e non solo”, ha dichiarato la presidente di Invalsi, Annamaria Ajello. E i numeri assoluti sono impressionanti: il 9,5 per cento degli studenti, cioè oltre 40mila giovani tra i 18 e i 19 anni, escono da scuola impreparati. “È la metà della città di Ferrara“, ha sottolineato Roberto Ricci, responsabile nazionale delle prove Invalsi. “Un terzo della popolazione di Modena“.
Penalizzate in particolare le Regioni del Sud, dove oltre la metà degli studenti non raggiunge la soglia minima di competenze in Italiano: in Campania e Calabria la percentuale sfiora il 64 per cento, in Puglia arriva al 59 per cento, in Sicilia raggiunge il 57 per cento, in Sardegna è al 53 per cento e in Abruzzo si ferma al 50 per cento. In Campania invece il 73 per cento degli studenti si è mostrato impreparato in Matematica, una dato che arriva al 70 per cento in Sicilia e al 69 per cento in Puglia.
Ma la situazione è grave in tutto il Paese. Rispetto al 2019, a livello nazionale Invalsi riscontra un calo delle competenze di circa 10 punti percentuali in Italiano e in Matematica, senza registrare ulteriori perdite dell’apprendimento – comunque inadeguato – in Inglese. In tutte le materie però i risultati peggiorano tra gli alunni che provengono da contesti socio-economici e culturali sfavorevoli, con percentuali di impreparazione quasi doppie tra gli allievi appartenenti a famiglie svantaggiate rispetto a chi vive in condizioni di minore disagio.
Nemmeno i rimedi classici, come la bocciatura, sembrano avere effetto. I dati Invalsi mostrano come anche gli alunni costretti a ripetere l’anno scolastico continuino a raggiungere risultati più bassi di chi non è stato bocciato. “Il tempo che è trascorso non lo recuperiamo con la bacchetta magica”, ha spiegato Ricci. “Ma usare questi dati può aiutare a prendere decisioni da calare nella realtà”.
Anno nuovo, problemi vecchi
Il futuro però non fa ben sperare, se è vero che – causa la diffusione dei nuovi ceppi del Coronavirus più contagiosi e in parte resistenti ai vaccini come le varianti Delta, Epsilon e Lambda – gli istituti rischiano di dover ricorrere alla didattica a distanza anche durante il prossimo anno scolastico, nonostante gli annunci del Governo.
“Lavoriamo per la scuola in presenza, senza se e senza ma”, aveva annunciato nei giorni scorsi il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, secondo cui a settembre tutti gli alunni dovranno tornare in aula, senza rinunciare a quanto imparato dalla DaD.
Le certezze del ministro si scontrano però con i tanti dubbi delle autorità regionali in materia di rispetto del distanziamento e contenimento delle nuove varianti Covid., tutte misure confermate dal Comitato tecnico scientifico (Cts). “La mia è una considerazione molto semplice, quasi banale”, aveva risposto al ministro l’assessore regionale alla Salute dell’Emilia Romagna, Raffaele Donini, chiedendo di considerare anche la situazione degli alunni vaccinati nella gestione dei focolai di contagio emersi nelle scuole. “Tutti siamo contrari alla didattica a distanza. Se ci fosse un focolaio in una classe, oggi vanno tutti in DaD. Io chiedo di considerare anche la popolazione vaccinata: se dovesse rimanere a scuola, in virtù dello status di vaccinazione, potrebbe diminuire la DaD“.
Più ottimista (una settimana fa) l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, secondo cui a settembre, con il 70-80 per cento degli studenti già vaccinati, la DaD non sarà più necessaria. “Là dove le percentuali di vaccinati saranno elevate si può ipotizzare un ritorno alla normalità, i ragazzi del resto sono convinti dell’utilità della vaccinazione, non abbiamo problemi a persuaderli: ci tengono alla libertà di movimento”, aveva commentato allora il presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), Antonello Giannelli.
Eppure, la decisione del Cts, che ha confermato l’obbligo della mascherina e il rispetto del distanziamento nelle scuole, ha lasciato perplessi molti dirigenti scolastici. “Mantenere il distanziamento, usare le mascherine e altro implica che gli studenti dovranno essere nuovamente impegnati in DaD: ci chiediamo allora come è stato possibile non essere riusciti a trovare soluzioni alternative in quest’ultimo anno e mezzo”, si era chiesto Mario Rusconi, presidente dell’Associazione presidi a Roma e nel Lazio. “Possibile che permangano le classi pollaio?”.
In rivolta anche i sindacati. “A sedici mesi dall’inizio della pandemia la sicurezza a scuola è ancora lontana”, aveva denunciato Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti. Mentre Cisl Scuola, Flc Cgil, Anief e Uil Scuola avevano chiesto un incontro urgente al ministro Patrizio Bianchi, “che veda anche il diretto coinvolgimento dei sottosegretari del ministero e dei rappresentanti delle forze politiche che sostengono la maggioranza”.
Tuttavia, dopo il Patto per la scuola firmato a maggio tra il ministero e i sindacati, già disatteso secondo questi ultimi con il Decreto Sostegni bis, non vi è stato alcun incontro tra Bianchi e i rappresentanti dei lavoratori. Men che meno sulla questione del ricorso alla DaD e del ritorno a scuola in presenza.
Intanto, a quasi due mesi dall’inizio delle lezioni allievi, famiglie, docenti e personale ATA non sono ancora certi di un ritorno stabile in presenza negli istituti. I problemi riguardano in particolare una larga fetta degli studenti non ancora vaccinati, per non parlare della quota di insegnanti e del personale scolastico non ancora immunizzato, pari ad oggi a oltre 215mila persone.
“Il problema della scuola, per quanto tu possa fare una strategia, rimane un punto interrogativo perché bisognerà vedere quale sarà la circolazione del virus a settembre e se ci sarà un’altra variante”, aveva spiegato la scorsa settimana ai microfoni di Radio Cusano Campus il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. “L’unica cosa che si può prevedere è quanti saranno i vaccinati, dobbiamo spingere alla vaccinazione insegnanti e studenti”.
Una questione affrontata dal ministro Bianchi insieme al commissario straordinario per l’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo, che intende arrivare ad almeno 180-190mila nuovi vaccinati tra gli operatori scolastici, raggiungendo una copertura di oltre l’80 per cento di immunizzati nelle scuole, incrementando anche le somministrazioni per i giovani dai 12 ai 19 anni.
In base all’ultimo rapporto del Governo, sono 1.063.903 i professori e gli appartenenti al personale scolastico già vaccinati, ma 216.221 non hanno ancora ricevuto la prima dose. Ulteriori sviluppi potrebbero però arrivare dalle nuove misure al vaglio del Governo dopo le decisioni annunciate in Francia, con la possibilità di aprire all’introduzione dell’obbligo vaccinale nelle scuole, come richiesto dall’Associazione nazionale presidi (Anp).
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