In tutti i concorsi pubblici, quando il numero dei candidati supera eccessivamente (ad esempio oltre il quadruplo) quello dei posti disponibili, si ricorre a prove preselettive per ridurre la platea di aspiranti a circa il triplo dei posti: le prove del concorso vero e proprio operano poi la selezione finale.
Fin qui tutto logico e comprensibile, perlomeno nel caso di concorsi su base nazionale, nei quali tutti i candidati (se troppo numerosi) devono sostenere questa prova; nei concorsi su base regionale, invece, già si palesa la prima discriminazione, poiché a passare per le forche caudine della preselettiva sono specificamente coloro che hanno fatto domanda in una regione (se ne può scegliere solo una) o per una classe di concorso particolarmente affollata. Questa recente consuetudine vorrebbe rispondere all’esigenza di ridurre in partenza la quota dei partecipanti ma di fatto introduce macroscopici elementi di discriminazione nel percorso concorsuale, e quindi fra i candidati.
Selezionare sì, ma applicando criteri che pongano tutti e nello stesso momento sulla medesima linea di partenza (la prima prova del concorso), non imponendo ad alcuni una preventiva corsa a eliminazione (la preselettiva) per arrivare a quella linea di partenza sulla quale invece, altri già sono posizionati. Restando nella metafora sportiva, in ogni competizione vi sono batterie eliminatorie per accedere alla finale, che però vengono disputate da tutti e in ciascuna delle quali gli atleti sostengono la medesima prova, identica a quella finale. Giudicheremmo alquanto bizzarro e arbitrario, ad esempio, se per decretare i finalisti dei 100 metri piani alcuni atleti si posizionassero già ai blocchi di partenza mentre altri dovessero preventivamente gareggiare sui 400 metri a ostacoli.
I dubbi sulla preselettiva, senza entrare ancora nel merito dei suoi contenuti, aumentano quando si guarda al sistema di valutazione. Nella gran parte dei casi, infatti, non è prevista una specifica soglia di punteggio per il superamento del test ma passano i primi “tot” candidati, corrispondenti in genere al triplo dei posti a concorso, più tutti coloro a pari merito con l’ultimo degli ammessi. In pratica, in una tornata di candidati particolarmente preparati, il superamento della preselezione si traduce in un punteggio molto elevato, mentre se il livello è più basso l’ammissione si attesterà su un valore medio. Così, ad esempio, se i posti disponibili sono 10, saranno ammessi al concorso 30 candidati più tutti quelli con lo stesso punteggio del 30esimo. Nel caso di un gruppo più “esperto”, i primi 30 punteggi, ovvero la soglia di sbarramento per l’accesso al concorso vero e proprio, potrebbero aggirarsi tra il 100% e il 95% di risposte esatte mentre, nel caso di un gruppo meno “esperto”, la forbice utile potrebbe attestarsi fra il 70% e il 50%. Sono, è ovvio, numeri ipotetici perché, trattandosi di un’autentica lotteria, è impossibile immaginare con buona approssimazione quali potrebbero essere, in un caso o nell’altro, i punteggi necessari a superare lo sbarramento: è evidente che una selezione operata con questo criterio si affida molto più al caso e assai poco al merito.
Riprendendo la metafora sportiva, è vero che anche nelle eliminatorie si qualificano solo i più veloci (e non c’è una soglia massima di tempo sotto la quale basta restare per qualificarsi) ma la prova è nella disciplina dell’atleta: i finalisti dei 100 metri saranno selezionati con eliminatorie sui 100 metri e non, ad esempio, con gare di salto con l’asta. E qui si tocca il problema dei contenuti della preselettiva, o almeno di una loro parte, di cui parleremo più avanti.
Questo meccanismo di valutazione sarà applicato anche al prossimo concorso ordinario su base regionale per la scuola secondaria, previsto entro la fine del 2020, con 2 prove scritte (più una pratica, per le materie che la prevedono) e una orale: la prima sulla/e disciplina/e della classe di concorso, la seconda sulle discipline antropo-psico-pedagogiche e sulle metodologie e tecnologie didattiche, mentre l’orale consisterà nella progettazione e illustrazione di un’unità didattica. A queste tre prove si aggiungerà, preventivamente, la preselettiva, qualora a livello regionale e per ciascuna distinta procedura il numero dei candidati sia superiore a quattro volte quello dei posti messi a concorso e, comunque, non inferiore a 250.
Solo in alcune regioni e solo per alcune classi di concorso, dunque, ci saranno malcapitati che dovranno sostenere una prova aggiuntiva rispetto agli altri loro colleghi, non potendo neanche contare su una soglia prestabilita di punteggio uguale per tutti, perché l’accesso alla prima prova del concorso dipenderà non solo dalle proprie capacità ma, soprattutto, dalle performance di tutti i partecipanti alla preselezione. Se l’obiettivo fosse individuare davvero i migliori, si sarebbe stabilita una soglia minima di promozione, magari anche particolarmente alta (ad esempio l’80%, 8 su 10): non a caso, nelle prove effettive del concorso è richiesto un punteggio minimo (7 su 10), perché si vuole che i vincitori del concorso siano al di sopra di un certo standard (tralasciamo i ragionevoli dubbi circa l’efficacia selettiva delle prove concorsuali, per come elaborate, su base meritocratica e non con una mera logica anch’essa da lotteria) e non semplicemente i primi “tot” candidati in base ai loro voti, alti o bassi che siano. Come mai, allora, si decide di lasciare al caso la riduzione iniziale, ammettendo candidati con punteggi della preselettiva tra loro molto diversi, salvo poi richiedere un risultato minimo alle prove concorsuali?
Anziché avere aspiranti docenti con, ad esempio, almeno 80 punti su 100 in una prova preselettiva equamente prevista per tutti, in alcune regioni e classi di concorso ci saranno candidati esentati dal sostenere quel test, candidati con 60-70 punti perché la performance media del loro gruppo non è stata elevata, altri che hanno raggiunto vette prossime al 100, determinando quindi per tutto il proprio gruppo una soglia di ammissione altissima e infine altri ai quali non saranno bastati punteggi maggiori di 80, solo perché compresi in una tornata di “più bravi”, ma che avrebbero meritato di accedere al concorso più di coloro che altrove hanno superato la preselettiva con punteggi medi o bassi.
Veniamo infine ai contenuti della preselettiva e alla ragione, non solo di equità, per cui essa, benché leggermente modificata, dovrebbe essere sostenuta da tutti. Sono previste 20 domande sulle capacità logiche, 20 sulla comprensione del testo, 10 sulla normativa scolastica e 10 sulla conoscenza dell’inglese a livello B2. Abbiamo accennato in precedenza a un problema relativo ai contenuti di questa prova: si tratta delle 20 domande sulle capacità logiche. Lungi dal vertere solo sulla logica proposizionale e sul ragionamento – che è corretto testare – queste domande contengono anche diversi esercizi di logica numerica, cioè di matematica e geometria (serie e successioni numeriche e alfabetiche, configurazioni grafico-geometriche, problemi di geometria, progressioni geometriche, equazioni e sistemi di equazioni, calcolo combinatorio, ecc.), che richiedono intuizioni e calcoli a dir poco ardui nel singolo minuto a disposizione per ogni quesito, a meno che il candidato non abbia una spiccata dimestichezza o predisposizione per questo genere di operazioni. Queste stesse domande, tra l’altro, sono presenti anche nelle preselettive per i concorsi della scuola dell’infanzia e primaria. Risulta difficile comprendere il motivo per cui una maestra d’asilo o una professoressa di storia dell’arte o di lettere, un docente di storia o inglese o un maestro elementare, debbano essere provetti risolutori di rompicapi matematici. Avrebbe più senso prevedere una sezione generale uguale per tutti e un’altra tematica, suddivisa per aree disciplinari (umanistica, scientifica, tecnico-pratica).
I quesiti sulla comprensione del testo, invece, sono assolutamente dovuti e anzi, dovrebbero probabilmente essere la parte maggioritaria della prova, al posto ad esempio della logica numerica. Il motivo? Secondo un’indagine realizzata per la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dall’Istituto Carlo Cattaneo nel gennaio 2019, il 30% degli italiani è “analfabeta di ritorno” o “analfabeta funzionale”: il 98,6% degli italiani è alfabetizzato, ma sfiora il 30% la quota di cittadini tra i 25 e i 65 anni con limitazioni nella comprensione, lettura e calcolo. “Le recenti indagini sull’analfabetismo di ritorno e sull’analfabetismo strumentale che collocano l’Italia tra i paesi Ocse più arretrati sono un chiaro indicatore delle lacune del sistema formativo nazionale”, si legge nel report. Il 30% degli italiani adulti con forti limitazioni infatti, porta l’Italia a fondo classifica su scala globale: peggio fanno solo Turchia e Cile. Secondo una definizione del rapporto Piaac-Ocse, si tratta di persone che, pur istruite e capaci di leggere e scrivere, non riescono a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, raggiungere i propri obiettivi e sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.
Vista la situazione, appare più urgente verificare le competenze di alfabetizzazione di tutti i futuri docenti a prescindere dall’affollamento o meno di classi di concorso o regioni, stabilendo soglie minime di promozione anche molto alte: è probabile, infatti, che un genitore preferisca che l’insegnante sappia leggere, comprendere e redigere un testo complesso e operare un minimo di ragionamento critico, piuttosto che risolvere a mente equazioni e altri complessi problemi numerici (a meno di non insegnare discipline scientifico-matematiche).
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