Le trincee non sono come le retrovie. Nelle trincee ci sono i soldati che combattono ogni giorno in prima linea. Nelle trincee c’è il sangue, il dolore, la paura, per sé e per i compagni che sono lì con te. La cosa triste è che le trincee non sono soltanto nei campi di battaglia, ma ovunque. Per esempio nell’unico ospedale di un piccolo centro come Rieti, che serve un’intera provincia di 72 Comuni. È intitolato a San Camillo de’ Lellis, patrono universale dei malati, degli infermieri e degli ospedali. E quanto accaduto questa mattina, ma tanto altro è accaduto nei giorni e mesi precedenti, soprattutto durante la prima ondata del Covid, non rispecchia, almeno non sempre, lo spirito di chi ha dato il nome all’ospedale reatino.
Un pronto soccorso dove “caos”, nella tarda serata di ieri, era la parola più delicata per descrivere quanto accadeva all’interno della struttura. Un preludio a quanto avvenuto nella prime ore della mattinata di oggi con pazienti lasciati in zone di sosta improvvisate, alcuni su barellini, altri in attesa di un ricovero da quattro giorni e lasciati su una barella parcheggiati in ogni angolo libero, non solo della sala interna del pronto soccorso, ma anche nei corridoi. All’una e mezza le barelle e i pazienti erano arrivati ad oltre trenta.
E non era più il caos, ma, come l’hanno definita molti operatori sanitari, una bolgia infernale dove l’umanità era andata persa. Una paziente legata alla lettiga, una donna che gridava e chiedeva aiuto da ore, un uomo, anch’esso in attesa di ricovero, che ha lanciato la padella piena di bisogni perché ormai stanco e distrutto da un’attesa di due giorni. E poi tutti gli altri, sofferenti, ma non vinti, che chiamavano figli e parenti dicendo che non ce la facevano più. Molti gli anziani, soli, perché le regole della pandemia non permettono l’ingresso dei parenti. Volti spaesati, occhi persi. E nella stessa situazione medici e infermieri, la maggior parte giovanissimi, che corrono da un paziente all’altro per tutte le ore di turno, ma non ce la fanno. Non ce la possono fare. Loro sono in trincea e vogliono combattere, tranne qualcuno che ha perso la voglia deponendo le armi. Non si può imputare a loro, i soldati di prima linea, ciò che non va, perché non hanno risposte, non hanno tempo nemmeno di domandarsi come mai le barelle siano una sopra all’altra, come mai non c’è tempo per tutti, per una parola di conforto o almeno per portare una padella a quell’anziano che la sta chiedendo da quaranta minuti. Si corre, come si correva bardati e con le mascherine durante la pandemia.
Non vogliono essere chiamati eroi perché questo lavoro lo hanno scelto e i più giovani ci credono ancora, ma combattere senz’armi a volte diventa impossibile. “La prego, lei che è giornalista, lo racconti che siamo stanchi, che non ce la facciamo più” dicono due medici fuori dal pronto soccorso. E l’unica cosa che ti viene da fare è chiedere scusa. A loro, ai malati, ai parenti, ai genitori anziani che rifiutano il pannolone perché autosufficienti e lo lanciano via rimanendo nudi in un luogo dove la privacy non esiste più da tempo, esposti allo sguardo di tutti e quando non ce la fanno più se la fanno addosso. Non è questa l’umanità.
C’è il dolore, quello sì. E stamattina l’hanno visto anche i carabinieri del comando provinciale di Rieti chiamati sul posto ed entrati al pronto soccorso per verificare la situazione. Nei prossimi giorni si saprà se ciò che hanno visto verrà comunicato al NAS. Poche ore fa medici e pazienti continuavano ad inviare messaggi ad amici e congiunti parlando di “lazzaretto”, solitudine, visite ed esami annunciati e rimandati di ore. Questa è la situazione del pronto soccorso di Rieti, ma ce ne sono di peggiori in altri PS del Lazio, dice qualcuno, sapendo bene che non è una giustificazione. Non può esserlo.
E ad aggravare una situazione già critica per i soldati di trincea arriva anche la comunicazione datata 24 novembre e avente per oggetto “Disposizione in materia di gestione sovraffollamento in PS” definita “pura follia” dagli addetti ai lavori in quanto sembra uno scaricabarile sulle spalle di chi gestisce ed opera all’interno del pronto soccorso. Basta leggere le righe introduttive: Tenuto conto di quanto già riportato nel Protocollo aziendale di Bed Management e delle continue criticità rilevate negli ultimi 3 mesi nel PS relative alle condizioni di sovraffollamento, in considerazione del crescente numero di accessi di pazienti no-covid e della coesistenza dell’emergenza pandemica da Sars-Cov-2, si dispone di mettere in atto quanto di seguito riportato che integra il Protocollo di Bed Management vigente. Azioni per il Dipartimento di Emergenza – Pronto Soccorso (con responsabilità diretta del Direttore della UOC Medicina d’Urgenza/PS e del Referente infermieristico del PS). Ed ecco che tornano i soldati di trincea, perché se si sbaglierà qualcosa la colpa sarà loro, medici e infermieri che ogni giorno vengono presi di mira da pazienti e parenti esasperati, per un ritardo nel cambio della flebo, per una risposta non data, o data in modo scortese. Sono loro, proprio loro, che hanno lavorato giorno e notte durante la pandemia e che continuano a lavorare anche oggi, in un momento in cui i contagi stanno risalendo, tanto è vero che proprio nel pomeriggio è stato chiuso il reparto Gerimed che verrà trasformato in reparto Covid.
Questo il racconto di Mauro Rizzetto di CittadinanzAttiva: “Sono andato a giugno al pronto soccorso per una grave polmonite batterica e mi hanno messo in un percorso Covid tutta la notte su una lettiga, poi la mattina mi hanno fatto una tac e portato in una sala accanto al pronto soccorso e da lì è iniziato il delirio perché c’erano tantissime persone e per spostare i pazienti era come un gioco ad incastro con spostamento continuo di barelle e carrozzelle con OO.SS e precari provati da una situazione allucinante. Ho anche chiesto aiuto per un anziano che si lamentava incessantemente per il dolore. Quindi non possono dire che la colpa era prima del Covid e oggi non si sa di chi mentre direttore sanitario e direttore generale continuano a negare. Riceviamo ogni giorno segnalazioni da cittadini e non è la prima volta che intervengono i carabinieri che conoscono bene la situazione. Come tutelare la salute dei nostri cittadini? Il pronto soccorso non può andare avanti così, con personale stremato e quindi a volte sgarbato e i pazienti che molto spesso preferiscono, quando possibile, spostarsi in Umbria. Sulla carta funziona tutto bene, ma in realtà non funziona nulla. La Asl e il pronto soccorso vanno gestiti in modo diverso perché, nonostante si parli di medicina umanizzata, i fatti dicono il contrario e molti di noi lo hanno provato sulla propria pelle”. E purtroppo sarà così domani e anche dopodomani.
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