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    Comincia oggi il processo Regeni: il Governo italiano si costituisce parte civile. La famiglia chiede di sentire Al Sisi

    Credit: Ansa foto

    A 5 anni e 8 mesi dalla morte di Giulio, arriva il primo sofferto passo verso la verità, ma la strada è ancora in salita. Il primo problema da risolvere sarà la non presenza dei quattro agenti della National Security

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 13 Ott. 2021 alle 08:04 Aggiornato il 14 Ott. 2021 alle 08:54

    Oggi, giovedì 14 ottobre 2021, si apre a Roma, nell’aula bunker di Rebibbia, uno dei processi più importanti non solo della storia italiana, ma anche di quella europea: avrà luogo infatti la prima udienza in cui sono imputati i quattro militari egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ammazzato al Cairo nel febbraio del 2016. Per la prima volta, in Europa, verrà processato un sistema di Governo e di potere al centro di denunce violentissime per la mancata tutela dei diritti umani.

    Palazzo Chigi ha deciso di costituirsi parte civile, con tutti i presidenti del Consiglio italiani che hanno governato dall’uccisione di Regeni in poi (RenziGentiloniConte e Draghi) che verranno chiamati a testimoniare. Con loro anche i ministri degli Esteri e i vertici dell’intelligence. Una decisione che va incontro alle richieste della famiglia, che ha sempre disincentivato le associazioni a costituirsi parte civile, ma che ha sempre richiesto la presenza dello Stato.

    A 5 anni e 8 mesi dalla morte di Giulio, arriva il primo sofferto passo verso la verità, ma la strada è ancora in salita. Il primo problema da risolvere sarà la non presenza dei quattro agenti della National Security. Un’assenza annunciata e dovuta alla prolungata mancata collaborazione egiziana. L’assenza in aula degli imputati porrà un problema iniziale di procedibilità. Ma in questo caso l’ostacolo sembra già essere superato da quanto stabilito dal giudice nell’udienza preliminare che ha ritenuto l’eco mediatica di questi anni sufficientemente valida come notifica. “La copertura mediatica capillare e straordinaria – aveva scritto il gup Pierluigi Balestrieri – fa assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”.

    La prima udienza si terrà davanti ai giudici della terza Corte d’Assise presieduta da Antonella Capri: se verrà valutato che la sottrazione è stata volontaria allora il processo andrà avanti, seppure con gli imputati in contumacia.

    L’avvocata della famiglia Regeni Alessandra Ballerini ha chiesto di sentire il presidente Al Sisi e suo figlio, Mahmood. L’allora ministro degli interni Ghaffar. E ancora tutti i presidenti del consiglio italiani che si sono alternati in questi cinque anni (Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi), i ministri degli Esteri, i sottosegretari con delega ai Servizi, i vertici della nostra intelligence

    La Procura ha chiesto invece di interrogare, nel contraddittorio, tutti i caposaldi attorno a cui si basa la lunga e precisa ricostruzione effettuata dai carabinieri del Ros e dello Sco: e dunque i testimoni (la cui identità è ancora nascosta) che hanno raccontato di aver visto Giulio nei nove giorni di prigionia, prima che fosse ucciso. Chi lo ha tradito (l’ambulante che lo ha venduto agli egiziani, Mohammed Abdallah, il suo vicino di casa) e tutti coloro che hanno avuto un ruolo nel suo lavoro, e nel suo assassinio, in Egitto.

    Chi sono i quattro agenti imputati

    I quattro membri dei servizi segreti egiziani rinviati a giudizio per aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni sono il generale egiziano Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Gli uomini sono accusati di sequestro di persona, Sharif anche di lesioni e concorso nell’omicidio di Regeni. La decisione del gup arriva dopo il respingimento dell’eccezione presentata dalle difese, sull’irreperibilità e la mancata notifica agli imputati, dei quali le autorità egiziane non hanno mai fornito gli indirizzi utili a dare notizia degli atti del processo.

    Le accuse

    Secondo le accuse i quattro indagati, insieme ad altre persone mai identificate, hanno “osservato e controllato, direttamente e indirettamente, dall’autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni”, si legge negli atti. Il ricercatore italiano è stato bloccato “all’interno della metropolitana de Il Cairo”, è stato “condotto contro la sua volontà e al di fuori da ogni attività istituzionale, dapprima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Logaugly”, hanno ricostruito gli inquirenti italiani. Così Magdi Ibrahim Abdelal Sharif “per motivi abietti e futili e abusando dei loro poteri, con crudeltà, cagionava a Giulio Regeni lesioni che gli avrebbero impedito di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni nonché comportato l’indebolimento e la perdita permanente di più organi, seviziandolo con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanzia più giorni”.

    Sharif è accusato anche di omicidio: “Mediante una violenta azione contusiva, esercitata su vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava lesioni imponenti di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva un’insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava alla morte”.

    L’indagine, partita subito dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni il 3 febbraio 2016 lungo la strada che dal Cairo porta verso Alessandria, è stata affidata sin dalle prime battute al pm Sergio Colaiocco, prima sotto il coordinamento dell’allora procuratore Giuseppe Pignatone e proseguita poi sotto la guida dell’attuale procuratore capo Michele Prestipino.

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