“Ormai sono stati abbondantemente superati i limiti della risposta sanitaria del paese, a prescindere da valori e indicatori che non corrispondono alla vita reale. Serve il lockdown nazionale”. Nel giorno in cui la cabina di regia dedica un focus particolare alla Campania dopo le polemiche sull’inserimento tra le regioni “gialle”, ovvero quelle con meno restrizioni, e sui dati relativi all’emergenza Covid-19, Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione Italiana Medici Medicina Generale (Fimmg) e presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Omceo) di Napoli e provincia si unisce al coro di medici che chiedono un lockdown generalizzato (qui le risposte di Scotti sulla carenza di medici di base in Campania)
Dott. Scotti, la Federazione nazionale dell’ordine dei medici (Fnomceo) ha chiesto il lockdown generalizzato, lei è d’accordo?
Assolutamente sì, chiunque faccia il medico in questo momento e abbia la percezione diretta sia dal punto di vista della medicina del territorio sia degli ospedali non può che richiedere la massima azione per il contenimento del contagio. Ormai secondo noi sono stati abbondantemente superati i limiti della risposta sanitaria del paese, a prescindere da valori e indicatori che non corrispondono alla vita reale.
Cosa intende?
La percezione non sempre corrisponde alla realtà dei fatti. Faccio un esempio, io sono un medico di famiglia. La percezione è che noi gestiamo pazienti asintomatici e paucisintomatici, come se questo fosse una banalità. Ma questi pazienti sono nell’ordine delle centinaia di migliaia, inoltre per 14 giorni vengono isolati in casa e temono la progressione della malattia. Sono pazienti da prendere in carico tanto quanto quelli che stanno male. Questo sta determinando una pressione senza precedenti sulla medicina generale, senza tenere conto che noi dobbiamo continuare la nostra azione ordinaria rispetto ai pazienti cronici e che hanno altre patologie.
E negli ospedali?
Negli ospedali c’è la necessità di un rapporto molto più basso tra pazienti allettati e numero di medici e infermieri. In modo da garantire, all’interno dei reparti di subintensiva, intensiva e rianimazione, la possibilità di azioni in contemporanea su più pazienti che si possono scompensare. Il quadro, al momento attuale, è assolutamente insufficiente, sia in termini di risorse umane sia a livello motivazionale: stiamo parlando di medici pressati da questo tipo di sistema ormai da mesi.
La situazione in Campania è paradossale. La Regione è ancora zona gialla nonostante le criticità.
Se andiamo indietro di qualche settimana, il primo a denunciare la necessità di una chiusura totale è stato lo stesso governatore De Luca. Oggi non si capisce, di fronte all’aumento dei casi, perché questa non si realizzi.
È colpa dei dati forniti a livello regionale secondo lei? Si è parlato di numeri “incompleti o anomali” e oggi c’è un confronto apposito sulla Campania.
Questo non so dirlo. Penso che chi ha un compito istituzionale non penso possa falsificare dati o alterarli. Non voglio difendere De Luca, ma mi sembrerebbe strano che quest’accusa sia rivolta alla stessa Regione che chiedeva il lockdown.
Quindi qual è il problema secondo lei?
I dati vanno inquadrati sulle caratteristiche di popolazione. La bassa mortalità in Campania rispetto alle infezioni da Covid, ad esempio, va legata al fatto che siamo la Regione più giovane d’Italia, perché in Campania l’aspettativa di vita è più bassa. Da noi si vive in media alcuni anni in meno, quindi la diffusione della patologia ha una media d’età più bassa. Ora le dirò un’affermazione che sembrerà brutale, detta da un medico: chi doveva morire di Covid in Campania è già morto due o tre anni fa. Parlo a livello statistico, ovviamente, perché gli 85enni li abbiamo anche qui, ma ne abbiamo di meno. Ha senso fare una valutazione su un criterio di questo tipo? Ha senso paragonare la Campania alla Liguria, che è una delle Regioni più anziane d’Italia?
Un problema di inquadramento dei dati, quindi.
Un’altra questione assurda è non considerare gli aspetti di deprivazione sociale e livello culturale della popolazione. Le immagini del lungomare di Napoli pieno, mentre al Cardarelli c’erano le file di auto e ambulanze, sembrano venire da due posti diversi. Invece sono riferibili, secondo me, alla deprivazione sociale e al livello culturale, che crea una visione anche egoistica.
In che senso?
Tra i miei pazienti ho diversi giovani che stanno in casa in isolamento e sono asintomatici e paucisintomatici. Secondo lei, loro che messaggio danno sui social ai loro coetanei? Che stanno chiusi in casa, stanno bene e si stanno rompendo le scatole. La domanda prevalente che mi rivolgono è quando possono uscire e incontrare la fidanzata, non hanno alcuna preoccupazione, sul rischio di contagiare i genitori ad esempio.
L’altro grande problema è la corsa ai tamponi. Chi entra in contatto con un positivo corre subito a farsi il tampone, invece dovrebbe isolarsi e aspettare che passi il periodo finestra. Se risulta negativo, pensa di essere libero di poter girare e diventa difficile controllarlo. A quel punto, quando compaiono i sintomi, è tardi, perché nel frattempo ha contagiato altre persone. Questo messaggio non è stato detto con chiarezza, sembra quasi che dobbiamo fare più tamponi a tutti i costi. È vero, dobbiamo farne di più, ma secondo uno schema.
Quale scenario vede per i prossimi mesi?
Se attiveremo un contenimento serio riusciremo probabilmente a evitare danni in vista dell’inizio dell’epidemia influenzale, in cui ci potrebbe essere un’ulteriore ondata di peggioramento, perché l’azione del Covid si miscelerà a quella dell’influenza.
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