Non è un problema solo di terapie intensive, ma soprattutto di accessibilità ad ospedali e reparti anche per tutte le altre patologie. Una situazione che può portare al collasso del sistema sanitario. Questo il messaggio che vuole dare Alessandro Bonsignore, presidente dell’Ordine dei Medici della Liguria, che da tempo lamenta la mancata attivazione della zona rossa a Genova. TPI lo ha intervistato per comprendere la situazione locale e nazionale.
Qual è la situazione ad oggi negli ospedali in Liguria?
“A nostro avviso è sbagliato fare una considerazione globale regionale perché sono molto diverse le situazioni delle province. I dati che abbiamo indicano Genova in una condizione da zona rossa, le altre province oscillano tra il giallo e l’arancione e i peggioramenti a La Spezia e Imperia sono stati negli ultimi 5-6 giorni. Questo giustificherebbe la regione come zona arancione”.
La situazione di Genova è quella che allarma di più.
“Genova dovrebbe essere zona rossa e questo lo stiamo dicendo da ormai 20 giorni. È da settimane che chiediamo che la città venga messa in lockdown totale. Se lo avessero fatto quando avevamo iniziato a dirlo, avremmo potuto già vedere risultati e benefici. Invece la situazione è molto peggiorata e i benefici, ammesso e non concesso che potranno effettivamente esserci, potremo vederli solamente dopo un lockdown molto prolungato”.
Che tipo di errori sono stati commessi?
“È stata fatta una scelta governativa di implementare valutazioni su scala regionale. Bisognava avere il coraggio di fare scelte su scala provinciale, anche per cercare un equilibrio tra economia e salute”.
Compiere scelte per provincia e non per regione porterebbe vantaggi all’intero territorio nazionale?
“Ho sentito colleghi della Lombardia che mi dicono le stesse cose: abbiamo Milano e altre città che sono correttamente identificate come zona rossa, ma ci sono realtà che potrebbero essere definite gialle. L’aver reso rossa tutta la regione diventa penalizzate per alcune aree. Al tempo stesso, se non si ha il coraggio di isolare territori a rischio, si rischia di non poter far altro che attivare un lockdown nazionale”.
Sono state sollevate critiche rispetto ad una presunta mancata trasparenza dei dati. Cosa ne pensa?
“Noi abbiamo sempre chiesto che i dati venissero divulgati in modo più chiaro possibile per l’opinione pubblica, perché i cittadini si comportassero in modo adeguato. C’è poi un tema relativo a quali dati vengono o non vengono divulgati. Ancora oggi sentiamo parlare della problematica dei posti in terapia intensiva, ma noi sappiamo che oggi il problema non è la terapia intensiva: il dato interessante che i cittadini dovrebbero comprendere è il tasso di occupazione di posti letto di bassa e media intensità”.
Cosa potrebbe succedere?
“La preoccupazione è che con questo trend a breve, massimo 10 giorni, potremmo non riuscire più a curare alcuna patologia, a parte Covid-19, perché abbiamo trasformato reparti interi in Covid-19, e per fare questo stiamo depauperando il contingente di posti letto per tutte le altre patologie e condizioni. Stiamo bloccando gli interventi chirurgici, stiamo togliendo follow up per pazienti oncologici, stiamo arrivando alla situazione in cui una persona che ha avuto un infarto rischia la vita perché l’ambulanza si ritrova in coda per 4 ore davanti al pronto soccorso”.
Cosa dovrebbero fare i cittadini?
“Il nostro richiamo perché i cittadini si comportino come in zona rossa è legato al fatto che non è un rischio solo il Covid-19: il problema è che la scala dei contagiati si è allargata, e – anche se solo una piccola percentuale richiede l’ospedalizzazione – il valore assoluto raggiunge il 100% dei posti letto negli ospedali. Il terrore – e il rischio – è arrivare al punto di non essere più in grado di curare nessuno per nessuna patologia. Il problema non sarà più la terapia intensiva, perché alcuni pazienti rischiano, purtroppo, di non arrivarci neanche”.