«Ai ragazzi dico: non abbiate paura, con la scuola la vostra vita cambierà. Non saranno i botti e gli spari a fermarci». Così Eugenia Carfora, preside-coraggio di Parco Verde di Caivano, dirigente scolastica dell’istituto tecnico Francesco Morano, augura un buon inizio di anno scolastico ai suoi studenti.
Preside, come è iniziata la sua esperienza al Morano?
«Venivo da un’esperienza forte: mi occupavo di inclusione degli immigrati. Certe cose non te le offre la vita, hai già un’inclinazione personale. Sono della provincia di Caserta, e quando ho scelto di andare nella provincia di Napoli ero consapevole delle criticità. Quando nel 2007 arrivai nel Parco Verde di Caivano mi colpì il silenzio, quel fazzoletto di terra pieno di verde incolto, quello fu il primo impatto».
Quali furono le prime azioni?
«La prima cosa che feci fu stanare le parole del disordine. Volevo dare subito il messaggio: “Vieni a scuola, dove tutto è in ordine”. Dal punto di vista estetico fu più semplice che da quello gestionale».
Come ha visto Caivano?
«Caivano è a pochi chilometri da Napoli e questo quartiere è visibilmente diviso dalla comunità da un muro che non si vede ma è alto un mondo. Come se quella gente fosse stata tutta ammucchiata lì e dovesse difendersi prima di tutto dal pregiudizio. Da quando sto lì ho visto tanti blitz, anche quelli che ti bucano lo stomaco. Ho visto ragazzi restare soli, accompagnati nelle case di parenti e amici, ora come allora si univano tristezza e felicità».
In che senso?
«Felicità perché questa comunità viene raccontata come il luogo peggiore d’Italia ma chi ci lavora non lo percepisce così, bensì come qualcosa che va cambiato. E l’unica formula che hai è: far pensare i ragazzi. E io ho sempre creduto che la cultura e la bellezza fossero una torta di cui farsi una scorpacciata. Il problema è il tempo. Sembra sempre troppo poco».
Lei ha detto che i veri eroi sono i ragazzi.
«Perché nascono bimbi ma già sono adulti, non conoscono la vita del bambino, già sanno la vita adulta cosa ci riserva. Vedo in queste storie sempre tantissima solitudine: piangono i loro cari in solitudine, vedono i loro cari arrestati in solitudine, vanno a casa e sono soli. Il problema è che tra di loro si consolano ma restano solo loro. Serve un atto che dia dignità ai ragazzi, che li aiuti ad autodeterminarsi. Io mi auguro che questa volta qualcuno capisca che bisogna lavorare su un sistema».
Cosa pensa del maxi-blitz di qualche giorno fa?
«Non vorrei che le luci calassero. Questa è la volta buona per far ritornare la bellezza. Bisogna fare in modo che tutti diano una mano. Oggi queste operazioni sono pillole, sono una bella pulita. Ma per entrare nel sistema bisogna prepararsi».
C’è un esponente politico, un ministro da cui più degli altri si è sentita capita?
«Il periodo in cui mi sono sentita compresa è stato quello del ministro Francesco Profumo (ministro dell’Istruzione del Governo Monti, ndr). Ma pure i precedenti hanno capito la gravità del luogo».
Dove trova la forza?
«La forza l’ho trovata sempre negli occhi dei ragazzi. Ho attraversato tanti giorni bui, le denunce. Oggi temo altre cattedrali nel deserto. Si investa su un progetto già pronto in tasca per questi ragazzi. Hanno già aspettato troppo».
Ha mai pensato di candidarsi in politica?
«In passato l’ho fatto per fare un piacere a degli amici dei mio paese. Non è andata bene, ma non l’ho fatto per farmi votare per forza. Purtroppo non vengono premiate le persone che vogliono fare le cose con correttezza. A Caivano me l’hanno detto molte donne: “Preside, fai il sindaco”. Questa cosa mi ha fatto commuovere, mi hanno visto non solo come l’educatrice dei loro figli, ma mi vedono come la risolutrice dei loro problemi. Questo da un punto di vista personale gratifica, ma rattrista. È bello che cerchino una figura che aggiusti le cose, peccato che non può essere il preside. Gli educatori hanno in mano il presente e il futuro della gente».
Mai pensato a un ruolo, per dire candidata sindaco?
«Io mi sento sindaco in ogni momento. Voglio mettere in protezione ciò che ho costruito. Vorrei tracciare un solco in cui chiunque può dare una mano. Che io debba essere protagonista o no, non ha importanza».
Cosa vuole fare in futuro?
«Dove c’è la lotta, là ci sarò io. Oggi faccio la preside, domani è un altro giorno. Vorrei avere la capacità di lasciare un testimone».