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    Esclusivo TPI: Poste Italiane, 9 dipendenti positivi a Sesto Fiorentino. “Niente tamponi, costretti a lavorare con la febbre”

    A Sesto Fiorentino TPI ha raccolto le testimonianze dei lavoratori delle Poste Italiane: "Nonostante i casi accertati di positività non ci fanno i tamponi perché costano troppo. I locali vengono sanificati con lo spruzzino, si creano assembramenti folli. Abbiamo paura di infettarci"

    Di Giuliana Sias
    Pubblicato il 29 Ott. 2020 alle 13:24 Aggiornato il 1 Dic. 2020 alle 13:36

    “Secondo me dovrebbero mandarci all’Asl che ci fa a tutti il tampone, così si starebbe tutti tranquilli, però non lo fanno, siccome costa, allora non lo fanno…”
    – Parliamoci chiaro, qui c’è un focolaio…
    “Ma di solito chiudono, fanno sanificazioni, qui niente…”

    Al CMP di Sesto Fiorentino, il più grande centro di smistamento di Poste Italiane della Toscana, da giorni l’aria si è fatta particolarmente pesante e i dialoghi tra dipendenti riguardano sempre lo stesso tema: nello stabilimento non vengono rispettate le più basilari norme anti contagio né i protocolli di sicurezza. Nonostante 9 positivi registrati solo nell’ultima settimana non si è attivato alcun sistema di tracciamento e le sanificazioni vengono effettuate con un normale “spruzzino di marsiglia”. Addirittura, ad un impiegato è stato imposto di recarsi regolarmente sul posto di lavoro nonostante avesse detto di avere la febbre mentre ad un altro, nelle stesse condizioni, è stato semplicemente consigliato di prendere una tachipirina.

    – Ma è possibile che io vo al Penny Market e mi misurano la temperatura per entrare, mentre qui è facoltativa la temperatura?
    “Sì, non la misurano nemmeno più ho visto…”
    – Insomma uno dovrebbe arrivare a lavoro sereno, se invece già arrivi pensando ‘speriamo che anche oggi non mi contagio’ come fai a lavorare bene?
    “Io dico che se te lo pigli fuori perché sei andato a mangiare la pizza, sono affari tuoi, ma qui sta diventando il contrario: noi stasera dovevamo uscire ma non usciamo perché i casi son saliti, io ho anche dei genitori anziani a casa, quindi io a casa sto tranquilla e qui invece mi devo rompere i coglioni con la paura di ammalarmi, è un controsenso…”

    C’è un grande stabilimento a Sesto Fiorentino, una decina di chilometri fuori Firenze, dal quale passano praticamente tutti i pacchi, le raccomandate e le lettere indirizzate alla Toscana, che qui vengono lavorati prima di raggiungere i vari uffici postali. Tra i lavoratori di Poste e gli indiretti, cioè i dipendenti in appalto, una direzione e un contact center, tutti i giorni sono circa 700 le persone che lavorano da queste parti. Ad oggi i casi accertati di Coronavirus nell’azienda sono 9, tutti impiegati all’interno di un reparto che si occupa della ripartizione dei pacchi Amazon. I sindacati hanno già chiesto all’azienda, per ora invano, di applicare una quarantena preventiva mettendo a casa, a carico di Poste Italiane, il personale che aveva avuto contatti con i positivi, più o meno un centinaio di persone.

    Ma il problema – spiega una fonte che chiede di rimanere anonima per ovvi motivi lavorativi – è che quel settore era già stato segnalato come pericoloso e potenzialmente foriero di molti contagi “perché non è possibile mantenere il distanziamento di un metro, senza contare che spesso le mascherine non vengono indossate ma non c’è nessuno che controlli”. La gestione dell’emergenza al CMP di Sesto Fiorentino appare insomma molto approssimativa sul fronte sanitario ma molto attenta invece a salvaguardare gli indici di produttività: “In questo periodo stanno arrivando davvero un sacco di pacchi Amazon e per questa ragione vengono fatti confluire in quel settore tutti i lavoratori, anche quelli di altri reparti, un fattore che aumenta considerevolmente la diffusione del virus e complica il tracciamento perché ci sono lavoratori che non dovrebbero stare lì”.

    Tutte le testimonianze che abbiamo raccolto parlano di una situazione potenzialmente esplosiva con il Centro di Smistamento che sul fronte della prevenzione è diventato terra di nessuno. Ad esempio, spiega un’altra impiegata, i guanti in lattice monouso non vengono forniti: “Fino a giugno c’erano e adesso invece non ce li danno più, ma pensa che noi lavoriamo con le mani, cioè tocchiamo continuamente le cose, i pacchi e le buste che hanno fatto un lungo giro prima di arrivare sul nostro tavolo”. Le mascherine invece vengono regolarmente fornite, tutte le mattine. Sono quelle chirurgiche e ognuno può approviggionarsi all’ingresso. Il problema in questo caso è che molti colleghi non le indossano ma i dirigenti non prendono provvedimenti: “Passa ogni tanto il direttore e dice ‘eh però metti la mascherina’ a chi non la usa, però se tu vedi che ripetutamente ci sono delle persone che non la portano, le prendi e le mandi a casa, o gli fai una lettera di richiamo, o le sospendi per una giornata da lavoro, fai qualcosa”.

    L’igienizzante invece è presente solo nei bagni ma non alle postazioni di lavoro: “Questa mattina – denuncia un operaio – sono andato alla consolle della macchina dove c’era stata un’altra persona cinque minuti prima e non mi sono potuto disinfettare”. Il Centro è suddiviso in reparti, cioè in stanzoni, ma i dipendenti lavorano in realtà tutti assieme perché non ci sono confini fisici tra un settore e l’altro”. “Noi non è che vogliamo che il CMP chiuda, per carità noi mangiamo con il CMP – ci spiegano – però, visto che ci sono così tanti casi, vorremmo che le Poste si prendessero la responsabilità di farci sottoporre ad un controllo medico”.

    Perché nessuno, finora, ha mai fatto un tampone in azienda: “Io ho fatto un sierologico ma per cavoli miei, non è che l’azienda mi ha detto vai in questo laboratorio e fatti il sierologico o il tampone e ci porti il certificato, assolutamente no. Per esempio mi sono assentata da lavoro per due settimane, potrei essere stata ovunque, ma quando sono rientrata nessuno mi ha chiesto niente, né un sierologico, né una certificazione di dove sia stata”. Nei reparti si diffonde in questo modo molto velocemente il timore di ammalarsi, anche perché il numero dei positivi cresce senza che Poste Italiane si attivi in nessuno modo per contenere il contagio. Anzi, ad un caposquadra, che evidentemente gestisce un’intera unità, “è stato chiesto di recarsi a lavoro con la febbre mentre ad un ragazzo assunto a tempo determinato è stato direttamente consigliato di prendere una tachipirina per non perdere una giornata”.

    Questa è la situazione al centro di smistamento di Sesto Fiorentino, ma non finisce qui. “Abbiamo due badge per tutti i reparti, quindi quando andiamo a timbrare sia all’entrata che all’uscita si crea un assembramento assurdo”. Non solo, la pulizia della mensa aziendale, appaltata ad una ditta privata, è stata per il momento sospesa e quindi i dipendenti sono costretti a pulire, ognuno autonomamente, i tavoli in cui si mangia: “Ma io che ne so se quello prima di me ha pulito oppure no?”. E ancora, la misurazione della febbre è facoltativa, “te arrivi e se te la vuoi misurare te la misuri, altrimenti no”.

    Per quanto riguarda inoltre la sanificazione dei locali, “quando si è scoperto il primo positivo è stata fatta con uno spruzzino, hai presente uno di quelli che si usano per pulire i vetri? Mica è stato sanificato l’intero reparto, assolutamente no”, anche perché in quel caso almeno un turno lavorativo sarebbe saltato e invece tutto è andato avanti come se niente fosse. Altro aspetto che desta non poche preoccupazioni riguarda peraltro gli autisti: “Chi fa le sanificazioni dei camioncini? Nessuno. Quelli dovrebbero essere sanificati ad ogni turno anche perché se ci sono solo io dentro, a lavoro per sette ore, posso anche non indossare la mascherina. Ma chi disinfetta il camion quando l’operaio del turno dopo entra a lavoro?”. Anche in questo caso il rischio di un contagio è alto ma viene sistematicamente ignorato, tanto che ormai si può dire che il tracciamento sia completamente fallito con Poste che addirittura non fornisce una lista ufficiale dei casi accertati: “Noi lo dobbiamo sapere se siamo stati a contatto con un positivo, noi lavoriamo su tre turni quindi quando esci te dal lavoro, alle 6 della mattina, io entro, ci incontriamo sempre tutti, stiamo aperti 24 ore su 24, ecco perché loro cercano di nascondere tutta la situazione, perché se ci si ferma qui si fermano tutti gli uffici postali della regione”.

    In realtà nessuno dei dipendenti chiede che si fermi la produzione, “noi chiediamo solo un’ambulanza nel parcheggio, davanti la nostra sede, dove si possa andare a turno a fare un tampone, non è che si chieda chissà cosa, avere una minima mappatura dei contagi, una sanificazione più decente dei locali e basta”. Peraltro la motivazione alla base di queste scelte aziendali votate alla totale noncuranza del rischio pandemico non può essere economica visto che Poste non si è mai fermata, nemmeno durante il lockdown: “Da come sembra e da quello che vediamo, oggi il virus è magari meno letale ma molto più contagioso e allora noi abbiamo paura, davvero paura, perché nel periodo più acuto dell’epidemia ne avevamo avuto 2 di positivi, tra noi, ora invece siamo arrivati a 9, forse 11, nel giro di una settimana. Quindi la situazione sta galoppando, non c’è più tempo”.

    Poste Italiane dal canto suo fa sapere che “i casi accertati presso il CS di Firenze rientrano nella media nazionale e a seguito delle comunicazione di positività, come previsto dal protocollo, è stata garantita la massima collaborazione agli organi di vigilanza per la ricostruzione dei contatti e per la condivisione delle informazioni richieste. I locali sono stati sanificati come previsto dalle nome di sicurezza e la situazione è costantemente monitorata tanto che il centro è completamente operativo al momento e non sono state previste né disposte chiusure della struttura da parte dell’Autorità”.

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