Che il Ponte Morandi fosse a rischio crollo si sapeva già dal 2010. “Avrei dovuto fare casino e non l’ho fatto. Non mi è venuto, forse temevo il posto di lavoro. Tante cose non abbiamo fatto da stupidi”, dice l’ex amministratore delegato della holding Edizioni, Gianni Mion, all’uscita del tribunale di Genova, dove oggi era in corso un’udienza per il disastro di Genova del 14 agosto 2018. In un’intercettazione Mion parlava così del ponte: “Quando io ho chiesto all’ingegner Castellucci e ai suoi dirigenti chi certificasse la stabilità e l’agibilità di questo ponte, mi è stato detto: ce lo autocertifichiamo”.
I dubbi erano sorti durante una riunione di vertice, sollevati dai tecnici Aspi, nel 2010: “Noi sapevamo che il ponte aveva un problema di progettazione, lo sapevamo. A quella riunione c’erano proprio tutti: i consiglieri di amministrazione di Atlantia, gli ad, il direttore generale, il management e loro hanno spiegato che quel ponte aveva una peculiarità di progettazione che lo rendeva molto complicato. Un ponte molto originale ma problematico”. A verbale durante le indagini, Mion aveva usato queste parole: “Quel difetto di progettazione creava delle perplessità tra i tecnici di Autostrade, riuniti alla presenza di Castellucci nella riunione di induction del 16 settembre 2010 sul fatto che il ponte potesse restare su”.
Adesso l’ha confermato davanti ai giudici aggiungendo che il suo grande rammarico è di non aver detto né fatto nulla: “Perché non ci ho pensato, perché abbiamo creduto che non fosse necessario, perché così dicevano gli altri, i competenti… E invece dovevamo intervenire come è stato fatto adesso, mettendo in sicurezza le strade, i ponti, le gallerie”.
Dichiarazioni difficili da ascoltare per i parenti delle vittime: “Immaginatevi come possiamo stare noi a sentire che nel 2010 in una riunione è stato esplicitato lo stato di questo ponte. È una cosa devastante per noi, come familiari e anche come cittadini”, ha detto all’Adnkronos la presidente del comitato in ricordo delle vittime del Ponte Morandi, Egle Possetti, che però non la ritiene una novità: “Purtroppo sono mesi che stiamo sentendo testimonianze che vanno tutte in questo senso, di conoscenza, di informazioni che erano presenti all’interno della linea gerarchica. Le informazioni c’erano, non c’era nulla di segreto e nessun difetto di costruzione sconosciuto. La situazione di questo ponte era nota”.