Erano tre anni che Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, scomparsa misteriosamente quarant’anni fa, chiedeva di essere ascoltato dalle autorità giudiziarie del Vaticano: ieri il suo incontro con il promotore di giustizia Alessandro Diddi è durato più di otto ore e potrebbe aver segnato il primo passo del lungo percorso che potrebbe portare alla ricostruzione di cosa accadde quel 12 giugno 1983, quando della ragazzina si persero completamente le tracce.
L’uomo è stato ascoltato come persona informata sui fatti nell’ambito della nuova inchiesta aperta dal Vaticano sulla vicenda: “Abbiamo parlato di tante cose – ha riferito all’uscita dall’aula – della famosa ‘trattativa Capaldo’, del trasferimento di Emanuela a Londra, di pedofilia, degli screenshot dei messaggi di cui siamo entrati in possesso”. Ha anche fatto i nomi delle persone che secondo lui andrebbero interrogate, “anche di alti prelati come il cardinale Re che stava sempre a casa nostra e altri personaggi eccellenti”. “Il fatto stesso che il promotore abbia ricevuto da papa Francesco e dal Segretario di Stato il compito di fare chiarezza e non fare sconti a nessuno – ha concluso Pietro Orlandi – è significativo, se ci sono responsabilità, anche in alto, io non mi tiro indietro”.
Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, commenta: “Oggi ho letto della volontà del promotore di voler collaborare anche con la giustizia italiana e questa è storia, sarebbe la prima volta nella storia italiana in cui il Vaticano e l’Italia, avvalendosi del Concordato, davvero in uno scambio reciproco possano mettere a disposizione l’uno dell’altro gli elementi che hanno a disposizione, per Emanuela, per questa famiglia nonostante siano passati 40 anni”. Oltre alle nuove carte e i documenti a cui ha accesso solo la magistratura vaticana, potrebbero esserci altri sviluppi se il promotore Diddi convocasse persone informate sui fatti ancora in vita: “Di fatto ci sono delle persone ancora vive che possono dare il loro contributo, anche questo è molto importante”.