“Ho pagato circa 120mila euro per comprare casa. Avrei continuato a pagare: per estinguere il mutuo mi mancavano circa 14mila euro, ma mi è stato impedito. Ora l’appartamento sarà messo all’asta e io rischio di essere sfrattato. E nel frattempo, in piena pandemia, ho perso il lavoro”. Denis è una delle persone che a Roma si sono trovate schiacciate nella trappola dei piani di zona, strumenti nati per favorire l’edilizia pubblica agevolata, ma che dopo il fallimento o la liquidazione coatta delle cooperative costruttrici, complice la frequente mancanza di controlli da parte della Regione Lazio e del Comune di Roma, spesso si sono trasformati in un incubo fin troppo reale per le famiglie che vi hanno avuto accesso, e che avevano diritto a usufruirne per legge, perché titolari di particolari requisiti, come una fascia di reddito compresa entro certi limiti.
I piani di zona si basano su delle convenzioni firmate tra il comune e le cooperative o imprese costruttrici. In cambio di aiuti pubblici, come finanziamenti regionali e diritto di superficie sui terreni pubblici, il costruttore si impegna a rispettare alcuni vincoli, tra cui quello di garantire un prezzo agevolato di affitto o di vendita per gli inquilini. Le stesse convenzioni prevedono inoltre le sanzioni da applicare nel caso in cui i vincoli non siano rispettati: tra queste c’è la decadenza del diritto a utilizzare i terreni oppure la revoca dei finanziamenti regionali. TPI si è già occupato in passato del caos generato nella Capitale dalle pratiche scorrette che si sono venute a creare intorno ai piani di zona, che hanno portato a indagini, rinvii a giudizio e a lunghe controversie civili. Ora torna a occuparsene in riferimento al piano di zona Colle Fiorito B48, e riguarda una palazzina di venti appartamenti, dove vivono Denis e altre 19 famiglie.
“Per lo Stato io e gli altri affidatari non abbiamo titolo”, racconta Denis a TPI. “Viviamo in queste case da anni, abbiamo pagato il mutuo, abbiamo firmato un patto di futura vendita con la cooperativa costruttrice, ma poiché non abbiamo stipulato né un contratto di locazione né un rogito, formalmente siamo considerati degli abusivi e rischiamo che adesso ci mandino via”. Un rischio, quello di essere sgomberati da queste case, che diventa una preoccupazione ancora più grande in questo momento in cui tanti vivono le difficoltà economiche e lavorative causate dalla pandemia di Covid-19. Denis, ad esempio, fino a qualche mese fa lavorava come receptionist in un albergo ma, dopo alcuni mesi in cassa integrazione, ha perso l’impiego e ora riceve il sussidio di disoccupazione. Perdere la casa in cui ha investito, per anni, tutti i suoi risparmi, per lui sarebbe “un colpo mortale”.
Le famiglie a rischio sgombero
Gli inquilini entrano in possesso degli appartamenti dopo aver stipulato un preliminare di locazione con patto di futura vendita con la società cooperativa edilizia “Una Casa Insieme” negli anni Duemila. Ciascuno dei futuri acquirenti, titolare dei requisiti soggettivi previsti dalla convenzione, deve pagare un affitto per 8 anni, per poi completare il pagamento dell’immobile perfezionando l’acquisto. Il costo complessivo dell’abitazione, nel caso di Denis, è di circa 147mila euro e l’accordo viene firmato nel 2009. Lui e gli altri assegnatari, inoltre, vengono ammessi all’interno della cooperativa come “soci prenotatari”. Già in questa prima fase, tuttavia, si registra un’apparente anomalia, che nessuno tuttavia provvede a sanzionare o bloccare: sia Denis sia altri inquilini effettuano infatti la stipula tramite un’agenzia immobiliare, elemento vietato dalla convenzione.
La palazzina inizia a essere costruita, e i soci provvedono a pagare le somme di denaro corrispondenti all’avanzamento dei lavori. Nel 2010, la cooperativa “Una Casa Insieme” stipula un mutuo con la banca Monte dei Paschi di Siena, per un totale di 2,1 milioni di euro. Ciascuno dei soci assegnatari, si accolla una parte del mutuo, corrispondente alla somma residua al totale pagamento dell’appartamento assegnato (nel caso di Denis si tratta di 35mila euro) e comincia a pagare le rate tramite i MAV che la banca invia alla cooperativa e che la stessa gira ai soci. Alla fine del 2011 la palazzina è pronta e loro prendono possesso delle case.
“Il primo approccio con la cooperativa noi l’abbiamo avuto nel 2004”, racconta Linda, un’altra inquilina. “Abbiamo fatto tutto l’iter, pagando l’avanzamento dei lavori. Avevamo un contratto preliminare con patto di futura vendita. Avevamo stipulato un mutuo di 119mila euro e abbiamo pagato tutte le rate fino al 2016: dopodiché è stato interrotto. Ma noi abbiamo tutta la volontà di pagare per avere la casa che abbiamo autofinanziato come soci e in cui viviamo con due bambini”.
“Ho acquistato casa nel 2009, pagando 150mila euro e prendendo un mutuo di 100mila, che ho pagato fino a quando la banca ha sospeso unilateralmente il pagamento dei mutui”, racconta Claudio, un altro inquilino della palazzina. “A detta della cooperativa avremmo dovuto firmare il rogito entro sei mesi dalla consegna della casa, ma a tutt’oggi questo non è mai avvenuto”.
“Ci siamo fidati della cooperativa”, dice Domizia, che ha vissuto per anni nella palazzina di Colle Fiorito, insieme al marito e ai due figli. “Anche io ho acquistato questa casa tramite un’agenzia immobiliare nel 2006”, racconta. “Ho speso tutti i miei risparmi per questa casa. Ho pagato quasi 80mila euro di anticipo, avrei finito di pagarla tra qualche anno. Pensavo che, trovandosi su un terreno del comune e usufruendo di un contributo regionale fosse una cosa sicura, che fossimo un minimo tutelati. Invece sono passati 15 anni e stiamo ancora combattendo per averla”.
La fase difficile che sta attraversando il Paese dal punto di vista economico complica ancora le cose. “Ora ho perso il lavoro e anche mio marito ha avuto dei problemi”, racconta l’inquilina. “Se la casa dovesse andare all’asta non potremmo permetterci di ricomprarla, e oltretutto avremmo perso quanto versato finora. Quei soldi non ce li ridaranno”. Poi aggiunge: “Non so di chi siano le colpe, so solo che nel 2016 ci è stato interrotto il mutuo e da allora nessuno è intervenuto. Nessuno ha vigilato sulla situazione. In quanto soci, in teoria, avremmo dovuto partecipare a delle riunioni della cooperativa, invece non sapevamo nulla, neanche che fosse stata messa in liquidazione coatta, o che poco prima avesse venduto la palazzina al consorzio”.
“Siamo stati abbandonati da tutti”, dice Claudio, “dai giudici, dalla Regione, dal comune. Abbiamo tutte le ragioni per essere nel possesso delle nostre case, ma rischiamo di doverle lasciare da qui a pochi mesi, perdendo tutto quello che abbiamo pagato fino a oggi. Non è semplice subire tutto questo, anche per i nostri bambini, a maggior ragione in questo periodo. Non ci sono solo i problemi economici, per loro sarà un trauma”.
La liquidazione della cooperativa e l’inizio dei problemi legali
I problemi arrivano a giugno 2016, quando “Una Casa Insieme” viene messa in liquidazione coatta amministrativa e viene nominato un commissario liquidatore, Luigi Zingone, che ha il compito di vendere i beni per pagare i creditori. Pochi mesi prima della messa in liquidazione, a dicembre 2015, la cooperativa, che era fortemente indebitata, ha ceduto l’iniziativa edilizia (per appena 20mila euro) al Consorzio Cooperative Casa Praeneste Società Cooperativa, che poi effettua una scissione in Consorzio Praeneste 1 e Consorzio Praeneste 2. È il secondo a diventare titolare della palazzina, ammettendo al suo interno tutti i soci che facevano parte della cooperativa “Una Casa Insieme”, e dunque tutti gli inquilini.
Dopo il passaggio di proprietà, 15 assegnatari su 20 manifestano tramite il loro avvocato alla banca la volontà di riprendere i pagamenti delle rate di mutuo, che erano stati interrotti a causa della messa in liquidazione della cooperativa, ma nessuna disponibilità in tal senso viene manifestata. Il Monte dei Paschi, al contrario, chiede la prosecuzione dell’esecuzione e nel 2019 ottiene il pignoramento della palazzina del Consorzio Praeneste 2.
A giugno 2020, a seguito di un’azione promossa da Zingone, il passaggio di proprietà tra la cooperativa e il consorzio, viene dichiarato “inefficace” da una sentenza emessa dalla sezione fallimentare del Tribunale di Roma, con cui si dispone che il Consorzio Praeneste 2 restituisca al commissario liquidatore i beni ceduti, che devono essere venduti all’asta per pagare i creditori.
“Questa sentenza avrebbe potuto farci tirare un sospiro di sollievo”, spiega Denis, “perché, secondo uno dei nostri avvocati, sospenderebbe il pignoramento della banca, che dovrebbe aspettare la liquidazione coatta”. Ma qui al danno si aggiunge la beffa: nonostante la sentenza sia stata emessa quasi un anno fa, non può essere ancora trascritta, perché presenta un errore materiale che va corretto (c’è scritto “Preneste” al posto di “Praeneste”). L’istanza di correzione è stata presentata a dicembre, ma ancora rimane tutto bloccato. A farne le spese, anche in questo caso, sono gli inquilini, che vedranno presto le loro case andare all’asta.
La legge “salva piani di zona” e la questione del mutuo
Nel frattempo, nella legge di Bilancio 2021, viene inserito un emendamento noto come “legge salva piani di zona”, che punta a bloccare i pignoramenti e le aste per fallimento e liquidazione coatta delle società costruttrici di immobili di edilizia residenziale pubblica e agevolata. L’emendamento, presentato dal deputato di Leu Stefano Fassina e fortemente voluta dal sindacato Asia Usb, era stata accolta come la soluzione per le migliaia di inquilini dei piani di zona che rischiavano lo sgombero a causa degli immobili costruiti in edilizia agevolata e poi pignorati, ma non è stata pienamente applicata da parte dei tribunali, come spiega a TPI Vincenzo Perticaro, l’avvocato che da anni difende gli inquilini dei piani di zona. “In alcuni tribunali, alcuni giudici stanno disapplicando la nuova legge, che in casi del genere prevedeva l’intervento della Regione e del Comune. A guadagnarci sono le banche e i costruttori che non hanno rispettato il prezzo massimo di cessione a cui dovevano essere vendute le case, mentre gli inquilini che hanno pagato sono considerati occupanti senza titolo e saranno sgomberati. La politica, in questa situazione, fa finta di non capire per non mettersi contro queste lobby di potere”.
Un altro tema è quello che riguarda i mutui che, secondo l’avvocato Perticaro, sono stati dati “in violazione di legge”. Il legale spiega che le banche “hanno dato ai costruttori mutui fondiari, quando avrebbero dovuto essere agevolati, garantiti dallo Stato. In questo caso sarebbe stato impossibile il pignoramento sul bene. Quello che sta succedendo a Colle Fiorito non sarebbe dovuto accadere, ma è accaduto”. A provocarlo è stato il fatto che “il ministero delle Infrastrutture, che avrebbe dovuto avere un elenco di banche convenzionate, ma non l’ha mai avuto. Per questa ragione non è stata applicata la legge. E a subire il danno sono gli inquilini che hanno pagato. Qualcuno deve assumersi questa responsabilità”.
“Il problema, da quello che abbiamo visto, è soprattutto a Roma”, dice a TPI Angelo Fascetti, del sindacato Asia Usb (Associazione Inquilini e Abitanti). “Nelle altre città i tribunali applicano la legge in modo conforme. A Roma questo non succede, perché viene dato peso a dei cavilli che in realtà sono argomentazioni inesistenti. C’è un sistema politico-economico che impedisce l’applicazione della legge. Si è addirittura resa necessaria una sentenza della Cassazione, che è dovuta intervenire su una legge che era già di chiara interpretazione ma che veniva mal interpretata. Nei casi di fallimento, sono subentrati i curatori, che però gestiscono questi patrimoni come se fossero privati, quando invece sono realizzati col contributo pubblico”.
L’unica soluzione: la revoca della convenzione
In questi giorni il custode ha fatto accesso per la stima degli appartamenti. Nella decisione del 4 maggio il giudice ha disposto “che il custode richieda ad eventuali conduttori degli immobili pignorati i canoni di locazione e intimi lo sfratto per quelli morosi”. Ma questo, spiega Denis, non può accadere: “Implicherebbe un contratto di locazione, che invece non abbiamo”.
Ma potrebbe esserci un’altra strada: nel 2018 Denis e altri due inquilini hanno presentato alla Pubblica amministrazione l’istanza di revoca dei finanziamenti alla cooperativa, per le violazioni della convenzione che si sono verificate. A seguito di questa richiesta, la regione ha avviato il procedimento ad agosto 2020, ma i tribunali finora sembrano non averne tenuto conto. Alla revoca del contributo regionale seguirebbe la revoca della concessione del terreno da parte del Comune e, in prospettiva, la possibile assegnazione delle case agli attuali inquilini, che potrebbero così finire di pagarle. Ma per il momento, e fin quando la situazione non si sbloccherà, il procedimento di pignoramento andrà avanti: la prossima udienza è prevista il 5 ottobre 2021. Il passo successivo sarà la vendita all’asta degli appartamenti. E a quel punto le famiglie perderanno la casa in cui hanno investito i loro risparmi.
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