Diceva Nelson Mandela che «l’istruzione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo». Da sempre la qualità del sistema scolastico è uno dei parametri fondamentali per valutare lo stato di salute di un Paese. E purtroppo in Italia, almeno per quanto riguarda le infrastrutture, si deve ammettere che siamo rimasti tragicamente indietro: il patrimonio edilizio delle scuole primarie e secondarie di primo grado – composto da circa 24mila immobili sul territorio nazionale – ha un’età media di 56 anni, con picchi che arrivano a 68 anni in alcune città del Nord. Il 57% di questi edifici scolastici non è dotato di una palestra, mentre soltanto nel 36% dei casi c’è una mensa e nel 27% sono presenti aule tecniche.
Lo rivela un recente studio condotto da Edison Next, società del Gruppo Edison che accompagna pubbliche amministrazioni e aziende nel percorso di transizione energetica, in collaborazione con la società di consulenza EY.
Dall’indagine emergono anche forti carenze dal punto di vista dell’efficienza energetica. Negli anni sono mancati i necessari lavori di adeguamento: solo nel 7% degli edifici sono stati effettuati interventi di riqualificazione energetica profonda (riguardanti ad esempio il cappotto termico o i serramenti) e solo nell’11% sono installati pannelli fotovoltaici. Con impatti negativi non solo sull’ambiente ma anche sui costi di gestione degli stessi istituti.
Inverno demografico
Le scuole italiane, inoltre, fanno registrare una scarsa ottimizzazione degli spazi: circa 3mila edifici sono estremamente sotto-saturi – con appena 6 alunni ogni 100 metri quadri a fronte dei 12 su 100 metri richiesti dalla legge – mentre 10mila edifici hanno una bassa saturazione.
Ciò è anche conseguenza dell’inverno demografico che il nostro Paese attraversa da oltre quindici anni. La maggior parte delle scuole ancora oggi utilizzate furono costruite nell’era del cosiddetto “baby boom”, quando la media nel Paese era di circa 1 milione di nascite all’anno. Oggi invece siamo al cospetto di un crollo demografico che, anno dopo anno, fa registrare un nuovo record negativo: nel 2023 in Italia sono nati appena 379mila bambini e bambine e nel 2050 si prevede che ci saranno 5 milioni di italiani in meno rispetto a oggi, con una perdita di 1,5 milioni di giovani in età compresa tra 0 e 14 anni. E al fenomeno delle “culle vuote” corrisponde ovviamente quello delle “aule vuote”.
La società avanza
Ma ci sono anche altri aspetti di carattere sociale che il mondo della scuola non può non tenere in considerazione. Negli ultimi vent’anni le famiglie sono profondamente cambiate: tra il 2000 e il 2021 in Italia l’occupazione femminile è cresciuta di 10 punti percentuali (dal 46 al 56%); di conseguenza è aumentata anche la quota di coppie con figli in cui entrambi i genitori lavorano (dal 40% nel 2005 sono salite al 47% nel 2022).
Così molte famiglie si trovano oggi a richiedere per i propri figli servizi pomeridiani, come dopo-scuola, attività sportive, corsi di lingua o laboratori di altro genere: attività che comportano costi significativi, ma in mancanza delle quali un genitore corre il rischio di dover rinunciare al lavoro.
Sarebbe importante, quindi, che fossero le scuole a organizzare attività extra-didattiche pomeridiane negli spazi scolastici, ripensando completamente il proprio modello per rispondere al meglio alle mutate esigenze delle famiglie. Ma questo auspicio cozza con l’obsolescenza degli edifici e le già citate scarse dotazioni di mense e aule tecniche.
A ciò si aggiunge, poi, una governance debole nella gestione dei servizi extra-didattici: l’organizzazione delle attività è delegata quasi esclusivamente all’iniziativa dei singoli dirigenti scolastici e alla loro capacità di accedere a fonti di finanziamento pubbliche. Il risultato è che, allo stato attuale, l’infrastruttura scolastica è utilizzata solo per il 20% delle ore in un anno.
Secondo un questionario sottoposto alle famiglie da EY, appena un quinto dei genitori è soddisfatto dell’offerta extra-didattica erogata dalla scuola pubblica.
Esempi virtuosi
Spingendo lo sguardo oltre i confini italiani si scoprono modelli da cui potremmo prendere esempio. In Francia e Germania si registra un utilizzo sistematico delle infrastrutture scolastiche per l’offerta di servizi extra-didattici o sportivi pomeridiani facendo leva sulla capacità dei presidi di attivare partnership con associazioni o altri enti esterni, in alcuni casi anche utilizzando fondi messi a disposizione dallo Stato.
Nel Regno Unito, invece, prevale un modello basato sulla gestione manageriale delle scuole: l’utilizzo dell’infrastruttura è ottimizzato anche attraverso l’affitto degli spazi a soggetti esterni per massimizzare la sostenibilità finanziaria dell’istituto. A est di Londra, la scuola della Coopers’ company and Coborn – fondata nel 1900 – offre oltre 170 attività extra-didattiche all’anno, in gran parte erogate dai suoi stessi docenti, e dispone di laboratori con strumenti innovativi per la didattica, piscina, palestre, teatro, sala conferenze e dance studio: tutti spazi affittabili all’esterno a beneficio dell’intera comunità locale.
Ma anche in Italia abbiamo alcuni casi virtuosi, come l’Istituto comprensivo 3 di Modena, in particolare la scuola secondaria di primo grado Mattarella, edificata nel 2012. Questo edificio scolastico – che ospita 290 studenti – si sviluppa su una superficie di oltre 12mila metri quadrati e dispone di 9.500 metri quadrati di giardino, tra spazi polifunzionali e un campo sportivo dotato di pista d’atletica. La scuola offre attività extra-didattiche gratuite attirando finanziamenti pubblici attraverso bandi nazionali ed europei.
L’importanza degli spazi
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede la costruzione di 216 nuove scuole sul territorio nazionale, per uno stanziamento complessivo pari a 1,9 miliardi di euro. Nel 2021 il Ministero dell’Istruzione, all’epoca guidato da Patrizio Bianchi, ha chiesto a un pool di ingegneri italiani di fama mondiale di elaborare una serie di linee guida a cui i progetti devono ispirarsi: ne è uscito un decalogo, che suggerisce fra le altre cose di puntare sul ruolo civico che le scuole possono giocare per le comunità locali e di ridurre al minimo all’impatto ambientale degli edifici scolastici.
Di quel pool di ingegneri faceva parte anche Cino Zucchi: «Io credo che lo spazio fisico abbia un ruolo molto importante nel delicato processo di formazione nelle varie età scolastiche, ma che esso debba esercitare una “pedagogia implicita” piuttosto che impositiva», spiega l’architetto a TPI. «Se le scuole di una volta erano elementi importanti del panorama urbano, nel secondo dopoguerra gli edifici prendono la forma di “standard” un po’ anonimi che funzionano ma senza un vero ruolo nella città. In questo senso, credo che la progettazione contemporanea possa non solo inventare spazi per inedite attività didattiche, ma anche ritrovare un ruolo importante nella città attraverso luoghi di relazione capaci di unire una nuova sensibilità ambientale alla riscoperta del vivere urbano».
Il discorso non si applica solo alle scuole di nuova costruzione ma anche a quelle già esistenti, che andrebbero adeguate: «Un edificio nato in un determinato momento storico – osserva Zucchi – porta con sé i valori dello stesso, ma deve periodicamente “rinegoziare” la propria esistenza con i nuovi bisogni degli alunni, dei genitori, del personale e degli insegnanti che si incontrano nei suoi spazi interni ed esterni».
Un nuovo modello
Edison Next ha elaborato un nuovo modello di riferimento per l’infrastruttura scolastica con l’obiettivo di valorizzare gli spazi esistenti generando opportunità sia per gli studenti sia per le comunità, tenendo anche in considerazione l’aspetto della sostenibilità economica.
Il modello prevede innanzitutto la riqualificazione degli edifici scolastici, con la creazione di spazi didattici, sportivi e polifunzionali e interventi di efficientamento energetico, per una spesa complessiva stimata in 13 miliardi di euro che – si ipotizza – potrebbe essere coperta per metà con investimenti di privati e per l’altra metà con risorse statali a fondo perduto. Di questi 13 miliardi, 4 servirebbero per i lavori di restyling – dotando quindi le scuole di mense, aule tecniche, centri sportivi – e 9 sarebbero destinati alle opere di efficientamento energetico, come il relamping e l’adeguamento dei gruppi termici e l’installazione di impianti fotovoltaici per circa 700 megawatt (da associare allo sviluppo di comunità energetiche rinnovabili).
Tali azioni consentirebbero di ridurre i consumi energetici delle scuole fino al 25%, liberando ogni anno risorse per 250 milioni di euro ed evitando l’emissione in atmosfera di circa 630mila tonnellate di anidride carbonica all’anno.
Contestualmente all’ammodernamento dell’infrastruttura scolastica, il nuovo modello proposto da Edison Next propone di rivedere anche l’architettura organizzativa delle scuole, estendendone l’orario di apertura alle ore pomeridiane e/o serali e in parte ai giorni di vacanze estive, così da massimizzare l’utilizzo dell’infrastruttura. Ciò dovrebbe avvenire facendo leva su un’offerta extra-didattica erogata da esperti nei diversi ambiti a cui affittare gli spazi rinnovati, digitali e polifunzionali, da dedicare agli studenti e alla comunità.
Da sottolineare il fatto che l’estensione degli orari di apertura dei plessi scolastici è condizione imprescindibile per attrarre proposte di investimento sulle infrastrutture da parte di operatori privati.
Ricadute positive
«Per permettere una maggiore apertura delle scuole, la risposta potrebbe essere una sinergia pubblico-privato», rileva Giovanni Brianza, amministratore delegato di Edison Next. «La formula del PPP ormai funziona ed è già utilizzata in tanti ospedali e Comuni italiani. Grazie a questo strumento si potrebbero sviluppare tante attività pomeridiane extra- didattiche, dai corsi di lingua alle attività sportive e digitali. Il nostro modello ripensa gli edifici in modo da lasciare lo spazio alla didattica in condizioni più efficienti ma anche di aprire ad altre iniziative. Immaginiamo una scuola che spreca meno energia e diventa una sorta di fabbrica sociale, un centro vitale del quartiere e del territorio, in cui potrebbe nascere anche una comunità energetica».
Questo nuovo modello potrebbe avere ricadute positive su più livelli. La riqualificazione energetica degli edifici consentirebbe una diminuzione delle emissioni e dei consumi degli edifici scolastici con conseguente riduzione dei costi di gestione, mentre i lavori di ammodernamento garantirebbero un ambiente educativo sicuro, confortevole e adeguato alle esigenze di studenti e comunità.
Questi interventi infrastrutturali creerebbero anche nuove opportunità occupazionali per i professionisti coinvolti nella realizzazione e gestione degli interventi e delle attività previste: si stimano 400mila professionisti coinvolti.
Una scuola aperta strutturalmente anche nelle ore pomeridiane, inoltre, garantirebbe un importante risparmio economico alle famiglie, che non sarebbero più costrette a pagare per attività extra-scolastiche o per servizi di baby sitting. Molti genitori avrebbero benefici lavorativi, potendo passare da impieghi part-time a full-time. Più in generale, l’infrastruttura scolastica si consoliderebbe quale centro di prossimità al servizio di studenti e comunità.
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