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Ci sono voluti quasi 20 anni prima che l’Italia lo conoscesse e lo riconoscesse. Venti anni in cui il nipote, Antar Marincola, ha dato vita a un lungo percorso di recupero della memoria: Giorgio Marincola, il “partigiano nero” onorato con la Medaglia al valor militare perché morto combattendo nella resistenza. A lui verrà intitolata una fermata della metro C di Roma.La proposta è nata su Facebook, poi è diventata una petizione lanciata su change.org da Massimiliano Coccia. Antar Marincola, Paolo Masini, Amin Nour di Nibi, Paolo Barros e i ragazzi del Black Lives Matter Roma l’hanno sostenuta fino a creare le condizioni affinché il Movimento Cinque Stelle e il Partito Democratico nell’Aula Giulio Cesare votassero una mozione che intitolerà la fermata Ipponio della Metro C al partigiano.
“Era il fratello di mia madre, Isabella” racconta Antar Marincola all’agenzia Dire: “Entrambi nacquero dall’unione tra nonno Giuseppe e Askhiro Hassan, conosciuta in Somalia”. Nel 2001 Antar ha iniziato a bussare a tante porte per fare in modo che la storia di suo zio non cadesse ne vuoto, per fare in modo che la storia di questo italiano nero, morto per la Patria e per la libertà dei popoli, non venisse cancellata, negata dai libri di storia.
“Quando io e mia madre venimmo in Italia, la Somalia era appena crollata. Arrivai a Bologna e presi la cittadinanza grazie a mia madre Isabella”, racconta Antar a TPI. “Lei era in una condizione fragile, era una profuga. Io avevo studiato nel mio Paese e qui ero fuori corso. Quando le dissero ‘perché non se ne torna nel suo Paese?’ per lei fu una sofferenza enorme. Sentendo quelle frasi, mia madre si domandava per quale libertà e Paese era morto suo fratello. Lì nasce la “Resistenza”: il nostro primo obiettivo fu come tirar fuori la storia di Giorgio. Fu come un balsamo per l’anima”.
“Le istituzioni non mi aiutarono”, prosegue Antar, “a quel punto pensammo a radio locali, giornalisti freelance, situazioni underground. Ebbi la fortuna di incontrare Giovanni Cattabriga (membro del collettivo Wu Ming ndr.) e gli parlai, gli raccontai la storia di Giorgio. Lui fu colpito nel sentire una storia di cui non aveva mai sentito nulla. Giovanni si trovò a parlarne con
Sarà il tempo, le vicissitudini e i pezzi che si ricompongono a far capire ad Antar qual è il vero ostativo dell’Italia, l’ostacolo che non permette, ancora oggi, che il Paese si riconosca multietnico e allo stesso tempo unito.
“Per anni nessuno voleva riconoscere il cadavere di mio zio, era il cadavere inspiegabile, l’unico cadavere nero; questo ragazzo delle colonie, vissuto a Roma e morto combattendo. C’è stata una rimozione totale. Una storia mai apparsa sui libri di scuola. E invece Giorgio era italiano, uno dei pochi italiani neri che era stato riconosciuto dal padre”, spiega Antar. La storia di Giorgio che sceglie subito da che parte stare è una vera lezione di vita.
Prima lo zio Giorgio, poi le vicissitudini e i tormenti della madre Isabella, costretta a sentirsi straniera in Italia, indesiderata. Ma c’è un altro episodio che segna la vita di Antar e muove per il processo di “resistenza”. “Tre anni fa mi rubarono il portafoglio a Bologna. Quando andai a denunciare il fatto alla Polfer dovetti dare, ovviamente, le mie generalità: Antar Marincola nato a Mogadiscio. Il poliziotto, nel leggere ad alta voce aggiunse: ‘sedicente cittadino italiano’. Penso di non aver mai dimenticato questa definizione, ‘sedicente’. Pensai a come quella persona aveva guardato solo al colore della mia pelle, non sentiva, vedeva soltanto, mi vedeva ‘marroncino’. L’ostativo principale di questo Paese è che l’italiano non si pensa oltre che bianco”.
Da quell’episodio nasce il video che Antar Marincola, noto anche come attore e scrittore di teatro, ha realizzato per spiegare, con il giusto sarcasmo e una buona dose di ironia, cosa sia lo Ius Culturae.
“Sono arrivato in Italia nel settembre dell”83, persone del mio colore non ce ne erano tante, erano prevalentemente universitari, tutte persone che facevano la spola. Ho visto che c’è stato un cambiamento, mia madre arrivò nel ’91. Era il tempo in cui iniziavano ad arrivare gli stranieri in cerca di un lavoro. La condizione cambiava, il panorama sociale anche. Le persone cominciavano a diventare residenti”. “All’epoca”, racconta Antar, “c’era già una cultura della Lega, si stava creando quella tensione che poi è venuta fuori gradualmente nel tempo. Per alcuni aspetti non credo che l’Italia sia un paese razzista, ma è un paese che si pensa con un colore, l’italiano si pensa bianco e fa una fatica incredibile a credere che invece l’italiano sia tanti colori”.
Una condizione che secondo Antar è stata favorita da un certo clima politico: “C’è una grande paura della sinistra a fare qualche legge in riconoscimento di una realtà sociale che è cambiata. Le destre hanno aperto un discorso, ma la titubanza è stata a sinistra. Che differenza c’è tra Marco Minniti e Matteo Salvini? Quando le sinistre vanno dietro le destre è un problema. Le destre vincono quando le sinistre non fanno più le sinistre. Il voto alle seconde generazioni è un atto reale di riconoscimento di una morfologia sociale che è realmente cambiata”.
Una richiesta quella di Antar che sposa in pieno lo spirito di Black Lives Matter, di Nibi e di tutte le associazioni che scenderanno in piazza il prossimo 3 ottobre a Roma.
“Ho fatto questo video essendo cittadino italiano riconosciuto dal 1991 ma con l’idea che sono un ‘sedicente cittadino italiano’ e con l’auspicio che siano sempre di più i sedicenti cittadini italiani. L’italiano vero oggi è un italiano bianco? Non mi senti parlare, non senti il mio accento? Io sento la voce, la parola, tu guardi solo la pelle? Siamo ridotti così. E così nasce il dialogo del video. La cittadinanza tocca elemosinarla”, conclude Antar.
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