Palermo, morto di leucemia Ibrahim Gaye: sognava di diventare come CR7
Il suo nome ricorda quello di un grande campione (Zlatan Ibrahimovic) della nostra Serie A, quel campionato in cui lui – arrivato dal Gambia – aspirava di giocare emulando i gesti di un altro fenomeno, che indossa una maglia diversa e che si chiama Cristiano Ronaldo: purtroppo, però, la leucemia si è portata via Ibrahim Gaye prima che potesse realizzare i suoi sogni. Il 18enne è morto ieri all’ospedale Civico di Palermo: da due giorni, le sue condizioni erano molto peggiorate.
Ibrahim, qualche settimana fa, aveva raccontato la sua commovente storia sulle colonne di Repubblica: aveva ripercorso i suoi ricordi, dalla fuga dal suo Paese quando era ancora un bambino, ai pericoli affrontati nel deserto, durante la prigionia e la traversata del Mediterraneo. Aveva raccontato di quando gli avevano puntato una pistola alla testa e lui era rimasto in silenzio, fingendo di stare male perché l’unica regola era “dimostrarsi debole anche se sei forte”.
Poi, finalmente, l’arrivo a Lampedusa e la nuova vita a Palermo: “Sono felice di essere qui – aveva detto -, qui è dove ho compiuto 18 anni, dove voglio vivere ed essere siciliano. In Gambia, invece, sarei già morto. Ma qui mi possono curare e posso ancora farcela”. Perché per il giovane Ibrahim Gaye la diagnosi era stata di quelle che ti spezzano il fiato: leucemia. Un’altra durissima battaglia da affrontare, per lui che aveva rischiato di morire già decine di volte: nel deserto, nella prigione in Libia, in mare aperto quando si era rotto il motore del gommone che lo stava proiettando verso la sua nuova vita.
In Italia, aveva avuto il privilegio di conoscere Laura Pausini, la sua cantante preferita: “Ho imparato l’italiano con le sue canzoni”, raccontava orgoglioso. La cantante aveva conosciuto la sua storia e gli aveva telefonato, rendendolo felicissimo.
Il suo sogno nel cassetto, però, mostrava un pallone e un campo rettangolare, in erba: “Sono un bravo calciatore, il mio mito è Cristiano Ronaldo. Nella mia città tutti lo dicevano che ero bravo. Mi sarebbe bastato attraversare il mare. Avrei cambiato la mia vita e anche quella dei miei nonni, troppo poveri per prendersi cura di me”.
“Adesso – aveva continuato Ibrahim – i miei amici rimasti in Gambia non ci credono quando gli dico che sto male. Pensano che sono già un calciatore famoso e che non voglio dirlo per non dare loro soldi e cambiare anche la loro vita”. La verità, purtroppo, era molto diversa. E dopo sette ricoveri, il giovane 18enne ha dato il suo ultimo addio al personale dell’ospedale, che era ormai un po’ la sua nuova famiglia.
Il suo corpo rientrerà domani in Gambia, quel Paese da cui era fuggito con tanti sogni nel cassetto. È lì che vivono tutti i suoi cari, compresi i nonni a cui non aveva detto niente della malattia, perché “non lo avrebbero sopportato”. Quelli che Ibrahim Gaye sognava di aiutare, mettendosi ai piedi due scarpini da calcio proprio come CR7.