Gli scafisti descritti come “aurighi di natanti”, la rotta migratoria un “viaggio esotico alla volta di Crotone e dintorni”: fa discutere l’ordinanza di convalida dell’arresto di due dei quattro sospettati di aver condotto verso le coste italiane il barcone rovesciatosi con esito disastroso al largo delle coste di Cutro. Michele Ciociola, il gip in questione, è conosciuto per lo stile esuberante che utilizza negli atti ufficiali.
A suo giudizio Fami Fuat, 50enne turco, e Khalid Arslan, 25enne pakistano, devono restare in carcere per scongiurare il rischio di fuga e di reiterazione dei reati di cui sono accusati, dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al naufragio colposo fino alle lesioni.
In un prologo Ciociola scrive: “Immarcescibili e sempre più opulente organizzazioni criminali turche brindano all’ultima tragedia umanitaria (il disastroso terremoto che inghiottiva parte della Turchia e della già martoriata Siria) che regalerà ai loro traffici ulteriori miriadi di disperati. Nel frattempo ha trovato tragica epifania quanto già in tante occasioni sfiorato e preconizzato”.
Il riferimento è proprio al naufragio di Cutro: “Lungi dall’ergersi alla Cassandra di turno, chi scrive, gravato dagli orrori dell’ultima mareggiata pitagorica, si accinge a vagliare l’ultimo fermo disposto in materia di immigrazione clandestina”. Il gip esprime anche parole di dolore per le vittime: “Diversamente dal consueto, il caso di specie registra decine di vittime, vittime di un destino sordo alle loro speranze e di uno stato di necessità non altrimenti fronteggiabile se non alla mercè di disperati viaggi della speranza”.
L’ordinanza è infarcita anche di una osservazione sul contesto geopolitico internazionale: “Per l’eco del conflitto ucraino è venuta meno la manovalanza russofona, negli ultimi mesi gli aurighi dei natanti sono quasi esclusivamente di nazionalità turca”.
E aggiunge anche: “Lo sbarco non può essere frutto di un epifenomenico accordo tra quattro amici al bar che, imbattutisi per caso in almeno 180 disperati, decidono di affrontare i perigli del mare per speculare sul loro desiderio di libertà”. Salvatore Perri, avvocato di uno degli indagati, preferisce non commentare e dichiara: “L’enormità della tragedia e i tempi del procedimento non hanno consentito finora di vedere le differenze fra il mio assistito, che è un migrante, e gli scafisti veri”.