Non sopportava “i cosi storti”, le cose fatte male, il Capitano Natale De Grazia. Un uomo di Stato, ufficiale della Capitaneria di porto, morto a neppure 39 anni nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995. De Grazia stava collaborando con il pool di polizia giudiziaria della Procura di Reggio Calabria, coordinato dal sostituto procuratore Franco Neri, per indagare sulle cosiddette navi a perdere. Una squadra investigativa che venne sciolta poco dopo la morte, assai sospetta, del Capitano.
Navi colme di rifiuti radioattivi, in particolare scarti di lavorazione del nucleare, fatte affondare volutamente insieme al loro carico di morte. Un salto di qualità da parte della criminalità organizzata che così, in particolare tra gli anni Ottanta e Novanta, ha avvelenato i nostri mari con lo smaltimento illegale di rifiuti tossici altamente pericolosi. Il tutto evidentemente con il coinvolgimento di imprenditori, massoni, pezzi di servizi segreti deviati ed esponenti politici, in quello che Legambiente definì un “intrigo radioattivo”.
Il fenomeno delle navi a perdere non va confuso con quello delle navi dei veleni, termine con il quale si indicano in senso più ampio quelle imbarcazioni che, partendo dai porti italiani, esportarono rifiuti tossici o radioattivi in Paesi come Somalia, Libano e Venezuela.
Per la prima volta in assoluto ieri, 28 agosto 2023, a Marina di Gioiosa Ionica, in provincia di Reggio Calabria, si è svolto un reading concert sul tema delle navi a perdere. Il ricercatore e docente universitario della Statale di Milano Andrea Carnì, autore di diversi studi e libri sul tema, ha così narrato alcuni aspetti di queste oscure vicende, soffermandosi in particolare sulla storia del Capitano De Grazia, accompagnato dal poliedrico artista e cantautore Fabio Macagnino.
Tanti i misteri ancora irrisolti attorno alle navi a perdere. A cominciare dal loro numero. Quante sono state le imbarcazioni affondate vicino alle nostre coste? Secondo l’ex capo dei servizi segreti, Bruno Branciforte, sarebbero circa 55. Secondo Legambiente, il numero sale addirittura a 88. Tra le navi affondate in maniera sospetta ricordiamo la Jolly Rosso, la Rigel e la Cunski. Ma la cosa per certi versi più incredibile è che ad oggi non è stato mai recuperato alcuno di questi relitti.
Qualche passo in avanti si è avuto negli ultimi anni con la creazione di una Commissione d’inchiesta, nell’ambito più ampio delle ecomafie, la quale ha avviato la desecretazione dei documenti del Sismi (oggi Aise), tra cui un elenco di 90 navi affondate nel Mediterraneo tra 1989 e il 1995. Ma tanti sono ancora i punti oscuri. Quali furono le cause della morte di De Grazia, stroncato mentre si stava recando a La Spezia? Un semplice infarto o venne avvelenato? Un tema, quello del traffico dei rifiuti, sul quale stava indagando anche la giornalista Ilaria Alpi, morta in Somalia nel 1994 insieme all’operatore Miran Hrovatin.
De Grazia si stava occupando della Rigel, “la madre di tutte le navi dei veleni”. L’imbarcazione è affondata in circostanze poco chiare il 21 settembre 1987 al largo di Capo Spartivento, sulla costa di Reggio Calabria. Da qui parte il racconto di Carnì, in questo reading concert innovativo che si è tenuto nella sede dell’associazione Don Milani, grazie anche alla collaborazione di Libera, del circolo di Legambiente-Reggio Calabria, della Caritas della Diocesi Locri – Gerace e con il patrocinio gratuito del Comune di Marina di Gioiosa Ionica.
“Si sono seppelliti rifiuti non solo in mare, ma anche nelle montagne e nei torrenti della Calabria, tanto che negli anni si sono registrati casi sempre più numerosi di tumori”, hanno evidenziato nel corso dell’evento il sindaco Giuseppe Femia e il giornalista Michele Albanese, che da anni vive sotto scorta per le sue denunce alla ‘ndrangheta. A quasi 30 anni dalla morte del Capitano di Corvetta, sottolinea Carnì, “la ricerca della verità continua. Non ci fermiamo”.
“Sentivo il bisogno di divulgare il lavoro fatto in questi anni sulle navi a perdere, volevo che non rimanesse solo un tema di dibattito fra studiosi”, spiega il ricercatore universitario a TPI. “Ho immaginato sin dall’inizio questo reading concert con le musiche di Macagnino. Lui ha subito accettato l’idea e ha fatto suo il progetto”. “Mi sono reso conto che c’era una validità artistica dietro a questa iniziativa, per il modo in cui ha saputo intrecciare i suoi testi alla mia musica”, racconta il cantautore calabrese.
Ai nostri microfoni Macagnino spiega quanto sia importante per lui trattare con la sua arte queste tematiche legate al territorio e ai suoi mali: “I miei testi sono impregnati dei valori con cui sono cresciuto, come la legalità. Non potrebbe essere altrimenti”. La voglia, visto il successo ottenuto, è di proseguire con questa iniziativa: “La speranza è che la gente richieda questo spettacolo e questi temi, a cominciare dalle realtà politiche locali. Se ci saranno altre date le porteremo avanti insieme”, sottolinea Carnì.
Eppure di questi temi si parla poco, e anche la politica appare miope: “Occorre occuparsene sempre più e senza interessi privati, pensando all’ambiente, al nostro mare, al bene comune. Il rischio altrimenti è che subentrino altri interessi rispetto a quello della ricerca di verità e giustizia”, il monito del docente della Statale. “La Calabria è bella o brutta, come qualsiasi altro territorio. Mi sono un po’ stancato di questa diatriba. Io non mi sento la periferia di nessuno”, è invece il punto di vista di Macagnino.
Che insegnamento ci lascia De Grazia? “Al momento non esistono indagini attive né sulla morte del Capitano né sulle navi a perdere – ci ricorda Carnì. L’eredità che possiamo cogliere è quella di un grande amore per la sua terra, e il rispetto per l’ambiente e il mare”.