“Mazzata”, “collasso”, “fallimento”. Non usano mezzi termini gli addetti del mondo della ristorazione per commentare le ultime misure del governo per limitare i contagi di Covid, con blocco delle attività alle 18. Tra i locali del centro storico di Napoli il disappunto dei gestori per l’ultimo Dpcm è evidente. “Non siamo contenti, come tutti gli operatori, e soprattutto siamo preoccupati”, chiarisce subito Massimo Di Porzio, patron di Umberto Ristorante in via Alabardieri e presidente campano di Fipe Confcommercio, la federazione dei pubblici esercizi, puntando l’indice sui continui aggiornamenti delle norme. “Da marzo abbiamo subìto 83 ordinanze della Regione Campania e abbiamo perso il conto dei Dpcm che sono stati emanati. La situazione economico-finanziaria delle aziende è difficile. Ci aspettiamo di vedere quali sono questi ristori previsti dal governo nazionale. Se sono quelli che sono stati dati fino ad ora tante aziende chiuderanno. Non c’è più liquidità, non c’è la possibilità di andare avanti”.
Gli aiuti del governo, spiega il ristoratore al telefono, devono andare “ben oltre” quelli forniti in primavera. “Oltre ai ristori – dice – va fatta una moratoria di tutti i pagamenti dei prossimi due o tre mesi, comprese le utenze. Un pubblico esercizio paga dai tremila i 5mila euro di utenze, se lavora e se non lavora”. Il rischio, in assenza di adeguato supporto, è quello di ritrovarsi “a Natale con tre quarti delle aziende chiuse, che non potranno riaprire”. Allargando così una crisi che ha già inferto un duro colpo al settore. “Ci risulta che da inizio pandemia circa il 10 per cento delle aziende presenti hanno chiuso. In Campania ci sono 10mila tra ristoranti e bar, parliamo di un quinto delle aziende della regione”. Il delivery nelle ore serali – continua Di Porzio – “non è una soluzione”, visto che “rappresenta il 10 per cento del fatturato di un’azienda della ristorazione e le aziende, soprattutto quelle medio-grandi, non potrebbero mai reggersi su quello”.
Ma il ristoratore lamenta anche l’assenza di una linea netta da parte del governo. “Non si capisce – continua Di Porzio – quali siano gli orari di esercizio, fino a che ora si può lavorare. Gestiamo delle aziende, abbiamo dei dipendenti, dobbiamo organizzare turni e approvvigionamenti. È tutto confuso, occorre chiarezza”. E la chiarezza forse arriverà del tutto solo con un decreto che Conte in conferenza stampa, ieri, ha annunciato per la giornata di martedì. Uno degli aspetti maggiormente sottolineati da titolari e gestori di ristoranti e bar è che tutto ciò che sta accadendo in questi giorni, dai nuovi picchi di contagi alle conseguenti nuove restrizioni, era previsto e prevedibile. “È assurdo – ha affermato Di Porzio – che non sia stato fatto un piano B. Il governo ma anche la Regione dovevano prevedere un piano per una ripresa della pandemia. Il governo dà la responsabilità ai sindaci, i sindaci si ribellano, la Regione prende decisioni e il governo che richiama le Regioni. Noi siamo limitati e confusi”.
Tutti sottolineano le responsabilità che si è assunto il settore. Massimo Politelli, del ristorante Terrazza Calabritto in Piazza Vittoria dice: “Dopo aver seguito tutte le regole, dal distanziamento sociale alla diminuzione dei coperti, siamo diventati un capro espiatorio. La colpa sarebbe della ristorazione ma il vero problema è come si arriva a ristorante e a lavoro, con persone a stretto contatto in autobus e metropolitana”. “Per questa settimana resteremo aperti, poi vedremo”, dice indicando una perdita del 75/80 per cento di perdita di entrate in caso di chiusura serale.
Stessa incertezza per I Re di Napoli, sul lungomare di Via Partenope. “Sicuramente faremo un tentativo la prima settimana, poi ci renderemo conto e valuteremo cosa succede”, spiega il gestore Roberto Biscardi, che mette l’accento sulle difficoltà a gestire un inevitabile calo del numero di collaboratori e ad assumere quindi “scelte molto delicate anche dal punto di vista umano”. Tra una trentina di dipendenti attuali part-time o full-time, nei prossimi giorni solo la metà avrà spazio nel locale. “Stasera – dice – dovrò dire ad alcune persone di stare in cassa integrazione a casa, ad altre dovrò dire di scendere. Questa è una cosa molto antipatica, perché bisognerà fare, come si dice a Napoli, ‘a chi figlio e a chi figliastro’”.
Anche in questo caso l’annuncio di aiuti da parte del governo viene accolto con un po’ di scetticismo, almeno per quanto riguarda l’efficacia e la tempestività. “Sto ancora aspettando il primo dei ristori, siamo ancora in attesa del primo fondo perduto comunicato e annunciato. Figuriamoci il secondo quando arriverà, quando probabilmente saremo già falliti e saremo stati costretti a licenziare tutti i dipendenti, per poi provare a reinventarci in altro modo”. A ottobre il calo del fatturato del ristorante è stato del 70%, dice Biscardi, e “a novembre stare aperti sarebbe una follia”. “Lo facciamo giusto per sentirci vivi ma commercialmente parlando, chiunque chiuderebbe”.
Le cose vanno forse peggio per i locali della movida notturna, già colpiti dal coprifuoco. “Stiamo sul 90% del fatturato in meno”, dice Guido, alla cassa di Chandelier in via Bisignano. “Principalmente siamo un cocktail bar, apriamo tutti i giorni alle 17, stasera è l’ultima giornata lavorativa, se non ci saranno cambiamenti riapriremo tra 40/45 giorni”. “Il governo ha cercato di supportarci nel primo lockdown, e diciamo che in una fase estrema ci siamo un po’ adattati anche noi, abbiamo fatto fronte con il nostro cassetto, salvadanaio, risparmio. Ora, dopo 6/8 mesi, cassetto e risparmio iniziano a venire meno”. Con dipendenti “a casa e al momento senza soldi”. “Conte – dice Guido – ha annunciato sussidi, e sostegni, ma non si è parlato di modalità e quantità. Al momento dobbiamo fare forza sulle nostre forze”. Nessuno sconto al governo nemmeno dalle parti di Pino Napoli in vico II Alabardieri. All’interno del ristorante accetta di parlare Riccardo Gallina. “Sulle misure del governo – dice – non ci possono essere commenti positivi. Capiamo la situazione, la gravità del virus, ma credo che questa volta davvero abbiamo fatto il conto senza l’oste”.
“Lasciare chiusa un’attività alle 18 – continua – significa lasciare almeno l’80 per cento del personale a casa, ed eravamo già in perdita rispetto ai numeri dei precedenti anni. Si troveranno ad affrontare diverse problematiche: persone a casa non potranno pagare fitti, dare da mangiare ai figli, pagare le tasse, arrivare a concludere la giornata”. E ancora: “Questa volta si devono assumere tutte le responsabilità, perché questa situazione era qualcosa che si poteva preventivare”. A lavoro, anche qui, resteranno le “figure basilari”. Ancora con tanti interrogativi irrisolti. “Non sappiamo cosa aspettarci, veramente non sappiamo se sarà solo un mese come preventivato fino al 24 novembre o se la cosa si protrarrà. Oramai siamo in balia delle onde e non sappiamo più a quale ente andare a chiedere”.
Leggi anche: 1. Esclusivo TPI: “Che me ne fotte, io gli facevo il tampone già usato e gli dicevo… è negativo guagliò”. La truffa dei test falsi che ha fatto circolare migliaia di positivi in Campania / 2. De Luca risponde a TPI sull’inchiesta dei tamponi falsi: “I responsabili devono andare in galera. È epidemia colposa”
- Le intercettazioni
- Chi sono i membri dell’organizzazione
- La testimonianza
- La storia di una delle persone truffate
- Il commento di De Magistris, sindaco di Napoli
- Il documento che smaschera la banda