Milano, 18enne con polmoni “bruciati” dal Covid-19: salvato con il trapianto
Sono stati trapiantati entrambi i polmoni a un 18enne ridotto in fin di vita dal Coronavirus, Il Covid-19 gli aveva “bruciato” i due organi rendendoli incapaci di respirare in pochi giorni. L’intervento, il primo di questo tipo in Europa, è stato eseguito dai medici del Policlinico di Milano, sotto il coordinamento del Centro nazionale trapianti, con il Centro regionale trapianti e il Nord Italia transplant program. È la prima volta in Europa per un’operazione di questo tipo. La pandemia aveva cambiato la vita al ragazzo: anche se Francesco, questo il suo nome, era giovane e perfettamente sano, il virus lo ha infettato e gli ha danneggiato irrimediabilmente i polmoni, “bruciando” ogni capacità di respirare normalmente.
Il 18enne aveva iniziato a stare male con la febbre il 2 marzo, il 6 era stato ricoverato in terapia intensiva all’Ospedale San Raffaele di Milano. Due giorni dopo era stato intubato e il 23 marzo veniva collegato alla macchina Ecmo per la circolazione extracorporea. Ma il Coronavirus aveva irrimediabilmente compromesso la funzionalità dei polmoni e così per Francesco si è tentato l’impossibile. A metà aprile i medici del San Raffaele, confrontandosi con quelli del Policlinico, hanno deciso di tentare di donargli polmoni nuovi. Una cosa mai provata finora, se non in pochi rari casi in Cina (e in un singolo caso a Vienna, eseguito pochi giorni dopo l’intervento di Milano effettuato il 18 maggio scorso).
Dopo aver contattato il Centro nazionale trapianti, Francesco viene inserito in lista d’attesa urgente il 30 aprile, e meno di due settimane fa è arrivata la notizia tanto attesa: viene individuato un organo idoneo, donato da una persona morta in un’altra Regione e negativa al Coronavirus.
“Qui, oltre alle competenze tecniche – racconta il professor Nosotti, un medico dell’equipe che ha svolto l’intervento -, devo sottolineare la caparbietà e il coraggio dei colleghi del San Raffaele che, invece di arrendersi, ci hanno coinvolto in una soluzione mai tentata prima nel mondo occidentale. La nostra esperienza prende spunto da quella del professor Jing-Yu Chen dell’ospedale di Wuxi in Cina, che conosciamo personalmente e con quale abbiamo discusso alcuni aspetti tecnici, dal momento che per ovvi motivi si è trovato a fronteggiare il problema prima di noi”.