Migranti Padova installazione – «Per me loro possono anche annegare» si legge su un cartello, la cui affermazione porta la firma di Fabio, 23 anni. Accanto, un’altra frase che recita: «Non abbiamo mica bisogno di questa feccia». E così via per un totale di dodici scritte tante quante sono le salme coperte da teli bianchi che nella mattinata di mercoledì 26 giugno numerosi passanti hanno trovato nel piazzale antistante la stazione di Padova.
Lavoratori pendolari, studenti, turisti hanno incrociato i loro sguardi su quella che è l’installazione provocatoria dell’artista Andrea Dodicianni e realizzata grazie al supporto della sezione padovana della onlus Avvocato di strada.
Disposti su due file, i dodici manichini delimitati dal nastro giallo-nero, simboleggiano i migranti morti durante il tentativo di superare le frontiere; una finzione che però sbatte in faccia con violenza quanto sa essere cruda la realtà stessa: quelle frasi colme di odio e disumanità, infatti, sono risposte vere direttamente raccolte dall’artista nei giorni precedenti parlando coi residenti di rifugiati e tematiche legate all’immigrazione.
Un hate speech che ha superato i già saturi confini dei social e che si diffonde nella quotidianità, nei pensieri lanciati di getto, anche senza avere una tastiera o uno schermo come “nascondiglio”: «Un signore, di corsa, vedendo i teli ci ha detto che pensava di trovarsi davanti a una strage», dice Andrea Andriotta, responsabile della segreteria di Avvocato di strada, attiva a Padova dal 2004.
E di strage si parla, perché, se l’intera installazione gioca sul peso delle parole, non può esserci un termine differente per raccontare le centinaia di morti in mare o per commentare, per esempio, la foto del salvadoregno Oscar Alberto Martinez e di sua figlia Angie Valeria, di appena 23 mesi, riversi a faccia in giù nell’acqua melmosa del Rio Grande e annegati nel tentativo di lasciarsi alle spalle il Messico per entrare nel Texas, negli Stati Uniti. Lei infilata dentro la maglietta del padre e con il braccio attorno al suo collo, un’immagine che dovrebbe lacerare le nostre coscienze.
«Siamo stati tutta la mattina accanto all’installazione – continua Andrea Andriotta – e anche se l’impatto è forte, sono stati numerosi i giudizi positivi, tra chi ci ha ringraziato, chi ha detto “ci voleva” e chi si è fermato diversi minuti per osservare, leggere le frasi e riflettere. Dalle espressioni di quelli che non ci facevano domande abbiamo capito chi era contrario alla provocazione: su internet abbiamo letto diversi commenti negativi, ma di persona sanno essere meno diretti».