Era il 17 marzo 2019 e un gommone con a bordo 48 migranti era in avaria a largo della Libia. Come sempre accade in queste circostanze, il coordinamento della Guardia costiera di Roma deve inoltrare la richiesta di aiuto arrivata dal barcone ai colleghi libici.
Tuttavia, qualcosa non va come previsto. Come rivelato dalle intercettazioni pubblicate da Repubblica, infatti, in quell’occasione è stato molto difficile per l’Italia mettersi in contatto con Tripoli. E, soprattutto, far capire all’interlocutore al telefono cosa stava succedendo in mare e comunicare le coordinate del gommone.
Chi salva i migranti se le navi sono in porto?
Secondo la legge, infatti, da Tripoli dovrebbe sempre rispondere un ufficiale della guardia costiera libica, capace di parlare e capire l’inglese. Il 17 marzo, però, non è così. Dopo oltre due minuti, durante i quali gli operatori italiani non riescono a trovare un ufficiale in Libia a cui comunicare l’sos, si è reso necessario anche trovare un interprete arabo.
Un’incomprensione che si è protratta per quasi un quarto d’ora, mettendo ancora di più in pericolo i 48 migranti a bordo del gommone, in avaria in mezzo al mare.
Dopo aver stabilito il contatto, infatti, gli operatori italiani scoprono che l’interlocutore, che si rivela l’ufficiale in comando in quel momento, non parla bene inglese.
Passano poi altri due minuti prima di trovare l’interprete arabo, a cui gli italiani dettano l’sos da tradurre alla Guardia costiera libica.
Alla fine, come già detto, l’allarme sarà inoltrato alla Libia (e compreso) solo dopo 15 minuti. Un tempo davvero troppo lungo quando si parla di vite umane in pericolo, su un gommone in balia in mezzo al mare.