L’aggravamento della crisi politica in Tunisia desta particolare preoccupazione in Italia, anche per il possibile aumento degli sbarchi e l’eventuale presenza tra i migranti giunti sulle nostre coste di quelli che il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, ha definito oggi “soggetti a rischio sotto il profilo del terrorismo“.
“L’Italia è un Paese a rischio, un rischio limitato da una grande attenzione che le forze di polizia mettono sulla presenza di soggetti che potenzialmente potrebbero portare avanti attività di tipo terroristico”, ha dichiarato oggi il magistrato in audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, a cui ha riferito in materia di temi riguardanti il terrorismo e i flussi migratori.
Pur sottolineando “l’altissima professionalità della nostra polizia giudiziaria e la capacità di prevenire fatti di terrorismo”, Cafiero de Raho ha comunque rimarcato come la Tunisia, da dove il Governo Draghi teme possano aumentare le partenze di migranti, sia il Paese di origine “di soggetti a rischio”. “L’attentatore della chiesa di Nizza nell’ottobre scorso, Brahim Aoussaoui, era sbarcato a Lampedusa il 19 settembre”, ha ricordato il procuratore, secondo cui il nostro Paese ha già il suo da fare con la minaccia jihadista.
“Sono 144 i foreign fighters legati all’Italia, sia perché partiti dal nostro Paese, italiani o stranieri che dimoravano in Italia, sia soggetti di passaggio: 56 sono morti, 34 sono rientrati negli Stati di provenienza e 11 in Italia”, ha affermato Cafiero de Raho. “Di questi ultimi, 3 sono detenuti (Stefano Costantini, Alice Brignoli e Samir Bougana – ndr) e 8 sono costantemente monitorati”.
Il magistrato non è l’unico a preoccuparsi delle possibili conseguenze sugli sbarchi di un crollo delle istituzioni tunisine. In un’intervista al Messaggero, Vittorio D’Amico, console onorario d’Italia a Tozeur, 500 chilometri a sud di Tunisi, ha sottolineato che “se le fase di instabilità politica” dovesse allungarsi senza affrontare “i problemi economici e sanitari”, potrebbero riaprirsi “le autostrade del mare”. “Abbiamo davanti a noi sei mesi di buona stagione per gli sbarchi, Lampedusa potrebbe riempirsi”.
Come riportato oggi da La Stampa, secondo alcune stime potrebbero essere 15mila i tunisini pronti a lasciare il Paese, mentre le partenze dalla Tunisia sono in crescita da mesi: nel 2021 sono già sbarcati in Italia 27.469 migranti, di cui 5.830 tunisini.
In particolare, il Governo è preoccupato per il coordinamento internazionale nel contenimento dei flussi migratori. Oggi era previsto a Roma un incontro bilaterale tra Mario Draghi e il premier Hichem Mechichi, licenziato nel fine settimana dal presidente Kais Saied. Alla riunione sarebbe seguito un vertice tra lo stesso Mechichi, che deteneva anche l’incarico ad interim di ministro degli Interni, con Luciana Lamorgese.
Ora il rischio è che venga messo in discussione quanto raggiunto finora tra Italia, Unione europea e Tunisia. A fine maggio, proprio la ministra dell’Interno, insieme alla commissaria europea Ylva Johansson, avevano incontrato Mechichi preannunciando un’intesa di massima che gettasse “le basi di un accordo complessivo di partenariato strategico tra l’Ue e la Tunisia“.
In quest’ambito, Roma era riuscita a strappare a Tunisi la promessa di un maggior contributo della Guardia costiera tunisina nel contrastare le partenze in mare e si era cominciato a discutere di una “linea diretta” tra le forze di polizia dei due Paesi per frenare gli sbarchi. Non solo: la crisi politica nel Paese africano potrebbe mettere in discussione anche gli accordi già firmati, come il rimpatrio di 80 migranti irregolari a settimana dall’Italia accettato dalla Tunisia e che potrebbe saltare con la proroga dello Stato di emergenza nella nazione del Maghreb.
Intanto, un aumento delle partenze potrebbe favorire un aggravamento del bilancio delle vittime nel Canale di Sicilia, dove secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) la stima dei morti nel Mediterraneo centrale ha superato quest’anno i 980. Nel 2020, a fine luglio, era 272. “Non bisogna più esitare: bisogna fare di tutto per rafforzare il sistema di pattugliamento in mare, da subito”, ha denunciato il portavoce dell’Oim per il Mediterraneo, Flavio Di Giacomo. L’ultimo naufragio avvenuto al largo della Libia ha provocato la morte di almeno 57 persone, comprese 20 donne e 2 bambini. Secondo l’Oim, il barcone è affondato al largo di Khoms, a oltre 100 chilometri a est della capitale libica Tripoli.
Come rimarcato dal console onorario D’Amico, “il vero problema è il Mediterraneo”. “Non possiamo restare indifferenti: è un sistema di vasi comunicanti. Servirebbe una riflessione generale che coinvolga tutti, confrontandoci tra dirimpettai. Affacciarsi sul Mediterraneo, in fondo, è come guardare l’altra sponda del lago”.
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