Con un duro sfogo sui social Melissa Satta si è difesa dalle accuse e le offese gravi che ha ricevuto nell’ultimo anno, da quando ha vissuto la sua relazione – ormai terminata – con Matteo Berrettini. Si è difesa ma è anche passata all’attacco, promettendo di agire per vie legali attraverso i suoi avvocati per querelare chi, tra giornali e siti web, ha scritto inesattezze sul suo conto.
La showgirl ha pubblicato un ultimo sfogo: una lettera, firmata insieme al suo avvocato, in cui denuncia alcuni organi di stampa di aver scritto cose sbagliate arrivando a definirla addirittura “sex addicted”. “Ed eccomi qua – si legge – ancora una volta costretta ad assumere la mia autodifesa dinanzi al tribunale dell’inquisizione mediatica, senza aver commesso nessun “crimine”, né alcun comportamento connotato da riprovevolezza morale. Nulla!. Questa volta la stampa (e mi scusino coloro che esercitano la professione giornalistica con consapevolezza, impegno e preparazione, se uso un termine che li accomuna a chi utilizza la carta stampata come mero esercizio di sciacallaggio sociale), a proposito della mia discussa “rottura”, non ha mancato di rendere più gustosa la notizia all’evidente fine di vendere qualche copia cartacea o di guadagnare qualche click in più, definendomi come “sex addicted’”.
“Ora – prosegue – sappiate che il solo dover scrivere di me stessa riportando una definizione che mi lacera profondamente richiede una enorme forza psichica perché mi sembra di trovarmi catapultata al banco degli imputati, costretta a difendermi in un sistema perverso nel quale non vige la presunzione di innocenza, ma quella di colpevolezza, per cui, in base a questo un onere probatorio al contrario – se non sarò in grado di provare fati a mia discolpa – sarò ritenuta colpevole”. Non solo: “Ho pensato più volte, e lo penso tuttora, di appartenere ad un mondo di persone a cui il destino ha riservato la fortuna di essere personaggi pubblici e di dover mettere in conto qualche inevitabile invasione nella mia vita privata, ma non è la prima volta che mi vedo costretta a difendermi da qualche pennivendolo che, al fine di stimolare la fantasia dei lettori più sensibili al tema, non manca di inventare storie piccanti sul mio conto, senza minimamente curarsi delle sofferenza causatemi come madre, prima che come donna e come persona”.