La consulenza tecnica realizzata dalla controversa società Emme Team sull’audio con le parole pronunciate da Marco Vannini mentre stava per morire, registrate in sottofondo durante la chiamata effettuata poco dopo la mezzanotte da Antonio Ciontoli al 118, non è stata amessa dai giudici della Corte d’assise d’appello di Roma nell’udienza che ha segnato l’inizio del processo d’appello bis.
L’audio, che era già stato diffuso dalla trasmissione Quarto grado, è stato mandato in onda durante la puntata di Chi l’ha Visto dell’8 luglio, durante un servizio di Chiara Cazzaniga. Secondo Emme Team, gruppo di cui farebbe parte anche il premio Oscar per il sonoro Lee Orloff, il ragazzo avrebbe detto “Portami il telefono” prima di morire.
Emme Team avrebbe ripulito anche l’audio della precedente telefonata al 118, effettuata alle 23.41 da Federico Ciontoli. In questo audio – sostiene il gruppo statunitense – si individuerebbero due voci maschili non riconducibili ai presenti in casa quel giorno, con qualcuno che dice: “Non si muove” e qualcun altro che direbbe “È un taglio”.
Come è emerso dall’articolo di Selvaggia Lucarelli pubblicato su TPI – esistono diversi dubbi su chi ci sia davvero dietro Emme Team, che era apparsa anche nel caso Cantone, annunciando che tutti i video di Tiziana erano stati rimossi dalla rete grazie al loro “Metodo M.”. Della società in realtà non esiste traccia, neanche come partita Iva. Chi l’ha Visto ha chiesto un’intervista a Emme Team per capire chi ci fosse dietro la società e come mai si fossero interessati al caso. Il gruppo non ha accettato di rilasciare l’intervista, ma ha inviato alla trasmissione un video del suo rappresentante in Italia, Salvatore Pettirossi. Secondo la versione fornita da Pettirossi, il team statunitense si sarebbe interessato al caso mentre guardava una trasmissione italiana in streaming e avrebbe lavorato gratuitamente per scoprire le parole incomprensibili dell’audio.
“Abbiamo ricevuto autonomamente e pro bono queste due perizie”, ha spiegato l’avvocato della famiglia Vannini Celestino Gnazi, presente in studio. “Le ho ricevute e ho sentito il dovere di depositarle immediatamente”. La decisione della Corte di non ammettere le perizie come integrazioni istruttorie, secondo l’avvocato, vuol dire che “le indicazioni sul fatto ricevute dalla Cassazione sono e rimarranno quelle”.
Inizia il processo d’appello bis
Ieri è iniziato in Corte d’appello a Roma il processo d’appello bis sull’omicidio di Marco Vannini, che la sera del 17 maggio 2015 a Ladispoli venne raggiunto da un colpo sparato dalla pistola di Antonio Ciontoli, padre della sua fidanzata. Il 7 febbraio scorso, infatti, la Cassazione, accogliendo il ricorso delle parti civili e della procura generale di Roma, ha annullato con rinvio la sentenza d’appello che nel 2019, aveva ridotto la pena per Ciontoli da 14 a 5 anni di reclusione – con la riqualificazione del reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo – e confermato le condanne a 3 anni per i due figli di Ciontoli, Martina e Federico, e per la moglie Maria Pezzillo. La Cassazione ha quindi disposto un nuovo processo, nel quale saranno rivalutate le posizioni di tutti e 4 gli imputati. La madre di Marco Vannini, Marina Conte, ospite nello studio di Chi l’ha Visto, spiega in diretta di ritenersi soddisfatta di come è andata la prima udienza. “Ci aspettiamo giustizia e verità per Marco”, aveva dichiarato la donna prima dell’inizio dell’udienza.
Federico Ciontoli: “Ho creduto a mio padre che diceva che era uno scherzo”
Durante l’udienza di ieri Federico Ciontoli, figlio di Antonio e imputato nel procedimento bis di secondo grado per l’omicidio di Marco Vannini, ha rilasciato una dichiarazione spontanea. “La prima cosa che mi è interessata quella sera è che qualcuno che sapesse cosa fare potesse intervenire visto che, anche se mio padre diceva di poterci pensare lui, a me dopo un po’ non sembrò così. Mio padre diceva che Marco si era spaventato per uno scherzo, e io gli credetti perché non c’era nessuna ragione per non farlo”, ha detto Federico Ciontoli. “Non c’era niente che mi spinse a non credere in quello che mio padre chiamò ‘colpo d’aria’ – ha aggiunto il giovane – del cui significato non mi interessai più di tanto essendo stato solo uno scherzo. In più, gli credetti perché mio padre si comportava proprio come se stesse gestendo uno spavento, ossia alzando le gambe e rassicurando. Il tipo di scherzo che aveva causato lo spavento in quel momento non era una preoccupazione per me”.
“È stato fino ad oggi ripetutamente detto, solo sulla base di supposizioni, e questo è presente addirittura in alcuni atti processuali e non solo detto nei luoghi di spettacolo, che anche a costo di far morire Marco, io avrei nascosto quello che era successo”, ha detto. “La verità è che io ho chiamato i soccorsi pensando che si trattasse di uno spavento, figuriamoci se non l’avrei fatto sapendo che era partito un proiettile. Se avessi voluto nascondere qualcosa, perché avrei chiamato subito l’ambulanza di mia spontanea volontà dicendo che Marco non respirava e perché avrei detto a mia madre che non mi credevano e di fare venire i soccorsi immediatamente? Vi prego: non cadete in simili suggestioni che non sono totalmente contraddette dalla realtà”.
La madre di Marco Vannini ha parlato di una “dichiarazione vergognosa“. “Nemmeno una parola per Marco. Ancora non riescono a capire che è morto un ragazzo di 20 anni”, ha detto. “Continuano a girare il coltello nella ferita”.
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