Sale il numero di mamme lavoratrici che lasciano la professione
“Non è un Paese per mamme” è il titolo del libro della giornalista Paola Setti, che racconta di come in Italia le scelte lavorative delle donne siano ancora drammaticamente influenzate dalla maternità: sempre più madri abbandonano la carriera dopo il parto, perché gli impegni familiari sono incompatibili con quelli professionali e con le aspettative dei propri datori di lavoro.
“Quando torni al lavoro devi essere come prima”, le dicevano prima che andasse in maternità.
“Tanti auguri e mi raccomando, rivogliamo la Paola di sempre, quella che lavora come un uomo: mi dicevano così e lo prendevo come un complimento, poi ho capito che era un’aberrazione. Ma una donna che diventa mamma non è più quella di prima, per fortuna”, scrive Setti nel libro.
E in effetti gli ultimi dati dimostrano come nel nostro Paese sia ancora impossibile conciliare la maternità con una professione.
Secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, dal 2011 al 2017 165.562 donne hanno lasciato il lavoro soprattutto per “incompatibilità tra l’occupazione lavorativa e le esigenze di cura della prole”, si legge nell’ultimo monitoraggio. Le madri che hanno abbandonato la professione sono aumentate negli ultimi anni: se nel 2011 erano 17.175, nel 2017 sono salite a 30.672.
Tre su quattro sono mamme che hanno lasciato il lavoro dopo il parto, ovvero il 77 per cento del totale in Italia.
La percentuale così alta dipende anche dalla mancanza di assistenza alternativa a quella dei genitori: i nonni non fanno più da baby sitter e gli asili nido costano troppo.
Uno studio di Bankitalia svela inoltre come ci sia una sostanziale differenza di genere nel tempo dedicato ai figli: se le mamme dedicano 29,68 ore a settimana alla cura della famiglia, gli uomini solo 8,13 ore.
Come spiega in un’intervista al Messaggero Paola Profeta, professore associato di Scienza delle Finanze all’università Bocconi: “La maternità è un fattore importante nella scarsa partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro”.
Ma nei Paesi dove le donne lavorano di più, nascono anche più bambini.
L’Italia invece resta intrappolata in un “equilibrio negativo”, generato dagli stereotipi culturali e dalle credenze che ruotano intorno al ruolo della madre, da cui ci si aspetta la piena dedizione alla vita domestica.
Il 51 per cento degli italiani ritiene che le donne debbano occuparsi di figli e casa. “Questa divisione sbilanciata dei compiti tra uomini e donne si traduce in un ostacolo per l’occupazione femminile. C’è l’aspettativa che siano le donne a prendersi cura dei figli, l’azienda sa che la lavoratrice si porta dietro questo fardello e non la considera più una risorsa su cui investire. Ovvio che siano gli uomini ad andare avanti e le donne a restare indietro”, spiega Profeta, e aggiunge che per cambiare gli equilibri all’interno della famiglia, servono misure drastiche, come l’aumento dei congedi parentali per i papà e gli investimenti nei servizi per l’infanzia.
Se le scelte di politica economica restano le stesse, invece, il calo demografico comporterebbe una diminuzione del Pil del 7,6 per cento entro il 2050.