Per l’omicidio dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, assassinato da un commando di uomini il 22 febbraio 2021 insieme al carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e all’autista del World Food Programme Mustapha Milambo, il tribunale di Kinshasa ha condannato all’ergastolo tutti e sei gli imputati. Agli inizi di marzo la pubblica accusa aveva chiesto per loro la pena di morte, che spesso in Congo viene tramutata in una condanna al carcere a vita.
Lo Stato italiano, durante l’udienza dedicata all’arringa della difesa, aveva chiesto per gli imputati la condanna alla carcerazione in alternativa pena capitale. Nella Repubblica Democratica del Congo la pena di morte non viene applicata da 20 anni, nonostante siano state emesse diverse sentenze di condanna in questo senso. Il gruppo tratto in arresto manca ancora del suo leader, condannato ma al momento latitante: il processo era iniziato lo scorso ottobre e le accuse mosse verso i sei erano omicidio, associazione a delinquere e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra. Arrestati nel gennaio dell’anno scorso, dopo iniziali ammissioni si erano poi dichiarati innocenti sostenendo di essere stati spinti a confessare con la violenza. Durante le varie udienze del processo i sei erano stati descritti dall’accusa come componenti di una “banda criminale” dedita alle rapine di strada che voleva rapire Attanasio per poi chiedere il riscatto.
A Roma si sta intanto svolgendo un’altra indagine sulla vicenda, che riguarda le falle nella sicurezza che hanno portato al tragico epilogo: la Procura ha chiuso le investigazioni chiedendo – e ottenendo – il rinvio a giudizio per due funzionari del Programma alimentare mondiale Onu (Pam) con l’accusa di omicidio colposo. Secondo la ricostruzione dei magistrati non avrebbero fornito al convoglio di Attanasio le protezioni adeguate al tragitto che stava percorrendo. Il prossimo 25 maggio ci sarà la prima udienza, il governo non ha ancora stabilito se costituirsi o meno come parte civile.