Il brutale omicidio della psichiatra Barbara Capovani, aggredita e uccisa da un suo ex paziente, riapre il dibattito sulla legge 180, meglio nota come legge Basaglia. Mentre il ministro della Salute Orazio Schillaci annuncia “più posti di polizia negli ospedali” e pene severe “per chi aggredisce personale sanitario e sociosanitario” per sedare la rivolta di medici e psichiatri, la Lega si spinge a chiedere di rivedere quella norma storica che nel 1978 permise all’Italia di chiudere i manicomi e regolamentare il trattamento sanitario obbligatorio istituendo i servizi di igiene mentale pubblici.
“Nel ringraziare il ministro della Salute, Orazio Schillaci, per la vicinanza e la sensibilità mostrata in queste ore, chiediamo un incontro urgente perché gli intenti comuni non si esauriscano nella commemorazione del fatto di cronaca lasciandoci inermi di fronte al dolore e per iniziare una collaborazione proficua”, era stato l’appello in una nota la presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Emi Bondi, e la presidente eletta, Liliana Dell’Osso, dopo il decesso della collega Barbara Capovani aggredita da un ex paziente a Pisa.
“La conclusione della procedura di accertamento della morte cerebrale ha decretato la tragica scomparsa della nostra collega Barbara Capovani. Vogliamo qui esprimere il nostro cordoglio ai familiari della dottoressa anche a nome di tutti gli operatori della salute mentale che, in tutta Italia, attraverso le reti formali e informali, hanno condiviso il dolore per questa tragedia, e che non deve rimanere inascoltato. Perché non dobbiamo assuefarci a eventi di questo tipo e considerare l’aggressione nei confronti del personale sanitario come un ineluttabile dato di fatto”.
“Il lavoro terapeutico e assistenziale in psichiatria, basato sulla relazione tra persone e sulla continua interazione con la sofferenza dell’altro – rimarca la Sip – comporta un carico emozionale straordinario, che necessita di risorse e condizioni logistico-organizzative adeguate all’aumento, cui assistiamo, delle richieste di aiuto e della complessità dei bisogni emergenti da un contesto sociale in continuo cambiamento. La crescita esponenziale di bisogno di salute mentale – sottolineano gli psichiatri – si accompagna un progressivo e silenzioso smantellamento di quell’organizzazione, pur imperfetta, che è nata nei due decenni che hanno seguito l’applicazione della legge 180. Con una perdita importante di risorse umane e il mancato avvicendamento delle nuove leve, si assiste a un impoverimento dei servizi pubblici senza precedenti negli ultimi anni, che riduce la capacità di risposta dei dipartimenti di Salute mentale, già in seria difficoltà”.
La riforma dell’assistenza psichiatrica non è mai decollata per mancanza di risorse, con strutture del territorio ridotte all’osso, ma anche per la mancanza di un quadro giuridico di carattere penale che renda possibile intervenire su chi è violento. Come riporta il Messaggero, dopo la Legge Basaglia, che compie 45 anni il prossimo maggio e che permise la chiusura dei manicomi, ci fu la svolta nel 2014 con il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), dopo la denuncia delle loro drammatiche condizioni. La creazione della Rems (Residenze per le Misure di Sicurezza), strutture sanitarie residenziali con non più di 20 posti letto, dovevano rappresentare l’arrivo di un’assistenza diffusa e umanizzata rispetto al passato ma la tragedia della psichiatra uccisa da un suo ex paziente, dimostra secondo gli stessi medici, anche le difficoltà di questi centri, svuotati di risorse e organici. Servirebbero altri 10mila operatori nei servizi di salute mentale, ma il problema della sicurezza, rimarcano gli esperti, è soprattutto giuridico.
Lo stesso allarme che si leva dal coro di medici. Un fronte comune, compatto stavolta, che definisce la violenza contro gli operatori sanitari “una emergenza nazionale”. “Il 55% dei colleghi riferisce di aver subito violenza – dice il presidente Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli – e il 48% pensa sia normale. Il Ministro avvii soluzioni, ivi compreso l’aumento di personale e la presenza di mediatori culturali nei pronto soccorso”.