La Lombardia tornerà in zona arancione da domenica. È questo l’esito concreto del duro confronto che dalla mattina di oggi, venerdì 22 gennaio, è in corso tra Regione Lombardia e Governo nazionale in merito ai dati sbagliati sull’indice Rt e al vero responsabile dell’errore.
Ovviamente ciascuno addossa la colpa all’altro ed è praticamente scontato che a dare un parere definitivo sulla vicenda saranno i giudici, dato che il presidente della Regione, Attilio Fontana, invita a “smettere di calunniare” la Lombardia e il centrosinistra paventa azioni legali nel caso emergessero responsabilità da parte della Regione.
Vedremo, quindi, chi sarà riconosciuto responsabile di uno stop che ha ovviamente inciso in modo fortemente negativo sull’economia, la coesione sociale e – giova ripeterlo, visto che a pochi sembra interessare veramente – agli studenti costretti all’ennesima fase di didattica a distanza.
Con il ritorno in zona arancione, inoltre, viene a decadere l’oggetto del ricorso che la Regione Lombardia ha presentato al TAR e sul quale ci si attende un pronunciamento la prossima settimana. Lecito supporre che, non essendoci più il motivo del contendere, il ricorso venga ritirato.
Noi, quindi, aspetteremo che la vicenda faccia il suo corso, ma un paio di certezze possiamo già esprimerle. La prima è che, benché il peccatore sia ancora da individuare, pare proprio che il peccato sia effettivamente stato commesso: un ritorno così repentino in zona arancione, invece dei canonici 15 giorni previsti dal protocollo, si spiega solo con un errore a monte, ovvero nei dati che hanno imposto tale decisione.
E il riferimento ai numeri corretti in corsa, secondo quanto TPI può anticipare, verrà inserito nella comunicazione che il Comitato Tecnico-Scientifico sta rifinendo, pesando bene il wording per mantenersi al di sopra delle parti, come è giusto che sia per un organismo tecnico.
La seconda certezza è altrettanto amara. Riguarda il fatto che al cittadino comune di questi continui litigi tra livelli amministrativi interessa poco o nulla: già esausti per le privazioni alle quali siamo esposti per causa del Covid-19, ci risparmieremmo tutti molto volentieri duelli verbali che non cambiano le carte in tavola.
Il problema sta proprio qui, nella sensazione di impotenza da parte delle istituzioni che traspare da queste vicende, con evidente danno per tutti. La confusione assoluta – e chissà quanto intenzionale – sulle responsabilità spinge a una generalizzata sfiducia nei confronti del Governo, delle Regioni e persino dei sindaci, che invece sono del tutto estranei a queste dinamiche.
E questo francamente non conviene a nessuno, perché se già la crisi pandemica rimette in discussione gli equilibri socio-economici consolidati, ci manca solo che si mettano altrettanto in discussione le istituzioni democratiche, col rischio di finire come a Capitol Hill. O magari anche peggio.
Come anticipato da TPI, il ministero della Salute ricostruisce la vicenda in oggetto parlando di una rettifica dei dati provenienti da Regione Lombardia: “Il 20 gennaio 2021 la Regione Lombardia ha inviato come di consueto l’aggiornamento dei suoi dati. In tale aggiornamento si constata anche una rettifica dei dati relativi alla settimana 4/10 gennaio 2021. In particolare si osserva una rettifica del numero dei casi in cui viene riportata una data inizio sintomi e tra quelli con una data di inizio sintomi quelli per cui viene data una indicazione di stato clinico, laddove assente”.
Le rettifiche apportate “riducono in modo significativo il numero di casi che hanno i criteri per essere confermati come sintomatici e pertanto inclusi nel calcolo dell’RT basato sulla data inizio sintomi calcolata al 30 dicembre”. Nonostante un wording molto formale, la sostanza sembra chiara: alla luce di questi dati, la Lombardia non sarebbe dovuta tornare in zona rossa.
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