Liliana Segre sotto scorta, il figlio a TPI: “Grazie alle autorità, ma sono preoccupato per le minacce”
In bilico tra gratitudine e rabbia. È l’ondata emotiva che attraversa Alberto Belli Paci, il primo dei tre figli della senatrice a vita Liliana Segre, da oggi posta ufficialmente sotto scorta dallo Stato italiano in seguito alle minacce e ai messaggi d’odio ricevuti nelle scorse settimane.
“Oggi, da figlio, posso solo dire che siamo molto grati al ministro, al prefetto e al comando dei carbinieri per aver deciso di assegnare un servizio di tutela a nostra madre”, rivela in esclusiva per TPI Belli Paci, che domenica scorsa aveva inviato al Corriere della Sera una lettera aperta e commovente ai 98 senatori del centrodestra che erano rimasti seduti senza applaudire Liliana Segre, subito dopo l’approvazione della commissione per il contrasto dell’odio, del razzismo e dell’antisemitismo che porta il suo nome.
In uno dei passaggi più intensi, Belli Paci si era rivolto direttamente ai parlamentari che si sono astenuti sul voto della mozione. “A voi che non vi alzate in piedi davanti a una donna di 89 anni, che non è venuta lì per ottenere privilegi o per farsi vedere più brava ma è venuta da sola (lei sì) per proporre un concetto libero dalla politica, un concetto morale, un invito che chiunque avrebbe dovuto accogliere in un mondo normale, senza sospettosamente invece cercare contenuti sovversivi che potevano avvantaggiare gli avversari politici – ha scritto il figlio maggiore della senatrice a vita, sopravvissuta ad Auschwitz e monumento vivente alla Memoria – A voi dico: io credo che non vi meritiate Liliana Segre!”.
Oggi Belli Paci è tornato sull’argomento e, in particolare sull’assegnazione della protezione speciale alla Segre. “Siamo molto preoccupati per gli attacchi e le minacce inqualificabili di cui è stata oggetto nostra madre”, spiega il figlio, confidando il momento di crescente tensione vissuto dalla famiglia.
Poi Belli Paci abbandona per un attimo i panni del figlio e si sforza di dare un giudizio da cittadino verso quello che sta accadendo a Liliana Segre. “Come cittadino – dichiara – sono indignato che una signora di quasi 90 anni, la cui colpa sarebbe quella di testimoniare i crimini contro l’umanità di cui lei stessa è stata vittima durante la Shoa, venga fatta oggetto di minacce a tal punto da aver bisogno di essere scortata dai carabinieri”.
Da un lato il sollievo della famiglia. Dall’altra lo sgomento di chi, come milioni di italiani, si ritrova a dover commentare attoniti una misura estrema come questa nei confronti di una donna che, ad altre latitudini e in altre epoche, riceverebbe i picchetti d’onore. È lo specchio di un Paese che fatica a liberarsi dallo spettro di rigurgiti fascisti, razzisti e antisemiti che credevamo di aver consegnato alla Storia e che, invece, ciclicamente ritornano.