Ha trascorso tre ore davanti ai pm per riscostruire cosa è successo la notte del 18 maggio scorso, dopo la serata trascorsa all’Apophis club, nel centro di Milano. La ventiduenne che ha denunciato Leonardo La Russa per violenza sessuale ha confermato il suo racconto: “Una notte da incubo”. “Colpevolizzare una donna che si espone per far valere i suoi diritti è una doppia umiliazione, ancora prima di poter raccontare apertamente la mia versione”.
In discoteca incontra il terzogenito del presidente del Senato, che conosce dal liceo. La giovane aveva già assunto cocaina e due farmaci, uno dei quali è un tranquillante. Risulterà positiva alla cannabis. Il giorno dopo, il 19 maggio pomeriggio, si presenta al servizio anti violenza della clinica Mangiagalli, dichiarando di non ricordare nulla di quello che le è accaduto, di essersi svegliata attorno a mezzogiorno, disorientata e tremante, nel letto del giovane e di aver saputo dal ragazzo di aver avuto un rapporto sessuale sotto effetto di stupefacenti con lui e con un suo amico, da però lei mai ha visto in casa La Russa.
Prova a ricostruire l’accaduto chattando con l’amica con cui era andata a fare “serata”. L’amica le dice di averla persa di vista intorno alle 3 del mattino quando era su di giri dopo due drink, uno dei quali le sarebbe stato dato proprio da La Russa: “Stavi benissimo (…) fino a prima che lui ti offrisse il drink tu eri stata normale, eri stra normale. Avevamo fatto delle strisce (probabilmente di droga, ndr.) anche lì all’Apophis”.
Una quarantina di giorni dopo, il 29 giugno, conferma tutto nella querela. Ieri sono state ascoltate anche tre amiche della vittima della presunta violenza, per cercare di ricostruire cosa è successo dentro e fuori la discoteca fino a casa del presidente del Senato. Come le tre ore di buco nel racconto tra le tre di note, quando l’amica la vede correre fuori dal locale correre verso il Duomo in stato confusionale, e le sei del mattino, ora alla quale sarebbero andati a casa in macchina secondo quanto le dice Leonardo La Russa.
Gli inquirenti faranno ricorso anche alle immagini delle telecamere di sorveglianza. “Una donna non deve avere paura di vivere la sua vita ed essere giudicata prima dei fatti rispetto alle scelte che prende”, si sfoga la giovane al Corriere.