Gli 850 abitanti di Larderello, minuscola frazione della Val di Cecina, possono vantare un record planetario: nel loro paesino si produce il 10 per cento dell’energia geotermica mondiale. Siamo sulle colline della provincia di Pisa: qui, nel raggio di pochi chilometri, si contano più di trenta centrali Enel che, alimentate dall’abbondante vapore presente nel sottosuolo, forniscono elettricità sufficiente per un milione di case. La chiamano anche “Valle del Diavolo”, per il paesaggio spettrale – e spettacolare – dei nuvoloni di fumo che sboffano dalla terra e salgono verso il cielo. Per quarant’anni, ogni settimana, cinque giorni su sette, il signor Danilo Fedeli ha fatto avanti e indietro su queste strade alla guida del pullman che trasportava i lavoratori dell’Enel alle centrali. Autista di professione, sportivo nel tempo libero, quando è andato in pensione, nel 1998, Fedeli aveva 65 anni ma sembrava un ragazzino: ancora sgambettava sui campi di pallone e si avventurava in faticose scalate in bicicletta. A fine 2007, però, questo effervescente pensionato vede il mondo crollargli addosso: gli viene diagnosticato un mesotelioma pleurico. Un anno e mezzo dopo, muore. Lo scorso 24 novembre il Tribunale di Pisa ha condannato Enel a pagare alla sua famiglia danni per oltre 800mila euro: è stato accertato, infatti, che a causare il decesso dell’uomo è stato l’amianto respirato durante gli anni da autista.
Portatori inconsapevoli
Di amianto erano intrise le tute dei lavoratori che ogni giorno salivano e scendevano dal pullman, ignari di portare addosso una sostanza cancerogena. «Non avevamo mascherine né altre protezioni dalla polvere», ha raccontato un testimone durante il processo. Enel, che ha annunciato ricorso in appello contro la sentenza, precisa in una nota che Fedeli «inizialmente ha prestato attività per alcune imprese appaltatrici» della compagnia elettrica e «successivamente per un’azienda del trasporto pubblico locale».
Barbara Fedeli, figlia di Danilo, racconta a TPI di essere a conoscenza di molti casi di mesotelioma pleurico o tumore al polmone tra gli ex lavoratori delle centrali e gli abitanti della zona. E teme che anche lei stessa e i suoi cari possano ammalarsi: «A lavare i vestiti di babbo – ricorda – era mia madre, e io e mio fratello eravamo piccoli. Queste malattie hanno tempi di latenza molto lunghi, anche quaranta o cinquant’anni. Viviamo con la paura».
Invisibile
L’amianto è un minerale costituito da fibre che hanno due caratteristiche. La prima è che sono sottilissime: nello spazio occupato da un capello ce ne stanno 1.300, quindi si disperdono facilmente nell’aria. La seconda è che sono letali: se respirate, si depositano nei polmoni e possono provocare malattie a elevato tasso di mortalità. La parola amianto deriva dal greco amiantos, che significa “incorruttibile”: la sua principale peculiarità è infatti l’elevata resistenza al fuoco e alle alte temperature. Ciò ne ha determinato un largo impiego come materiale isolante. Tubature, tetti, tute speciali per operai, guarnizioni: per decenni l’Italia è stata il maggior produttore di amianto in Europa e uno dei maggiori utilizzatori. Finché nel 1992 – ormai abbondantemente acclarata la sua pericolosità per la salute – il ricorso a questo minerale è stato vietato per legge. Contestualmente il Parlamento aveva previsto anche bonifiche, messe in sicurezza e operazioni di smaltimento.
Trent’anni dopo, però, gran parte di quei materiali cancerogeni sono ancora lì. Principalmente per colpa di sottovalutazioni dei rischi, burocrazia e costi elevati, come spiega al nostro giornale l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto (Ona).
Vivere senza respiro
Antonio Dal Cin, 52 anni, tre figli, ha passato quasi metà della sua vita con indosso l’uniforme della Guarda di Finanza. È stato congedato nel 2014 dopo che gli era stata diagnosticata l’asbestosi, una forma di fibrosi interstiziale polmonare causata dall’esposizione all’amianto. Si tratta di una patologia «irreversibile, che riduce notevolmente le mie aspettative di vita e che mi limita nella vita quotidiana», ci spiega l’ex fiamma gialla. «Ai minimi sforzi fisici subentrano subito affanno, tachicardia, tosse: questa malattia ti toglie il respiro senza darti tregua». L’amianto, Dal Cin, lo ha respirato durante gli anni di servizio in caserma e sulle navi della Finanza, come accertato dal Tribunale di Latina, che lo scorso novembre ha condannato il ministero dell’Interno al pagamento di un assegno vitalizio da 1.500 euro al mese e a 90mila euro a titolo di liquidazione. Il Tar del Lazio, inoltre, ha riconosciuto all’ex finanziere il diritto a un risarcimento, ma lo ha quantificato in appena 20mila euro, somma considerata «ridicola» dall’avvocato Bonanni, che assiste il militare e che stima danni per oltre un milione e mezzo. Dal Cin, per giunta, lamenta di aver «subito mobbing» nelle Fiamme Gialle per aver «denunciato fatti e circostanze che altrimenti sarebbero rimasti nascosti».
Strage sotto i nostri occhi
In Italia i siti contaminati censiti dal ministero dell’Ambiente sono ad oggi 108mila, ma la mappatura è ancora in corso. Legambiente conta almeno 370mila edifici contenenti amianto (dato fermo al 2018 però), mentre l’Ona stima addirittura un milione di aree contaminate, includendo anche i “micrositi”, per un totale di 40 milioni di tonnellate di amianto e materiali contenenti amianto sparsi in lungo e in largo sul territorio nazionale. Tra questi ci sono 29mila siti industriali, 50mila edifici pubblici, 214mila edifici privati, 250 ospedali e 2.300 scuole. Il ché significa che sono esposti alla contaminazione anche 350mila alunni e 50mila fra insegnanti e personale tecnico-amministrativo. Come Olga Mariasofia D’Emilio, insegnante alle scuole medie Farini di Bologna, stroncata da un mesotelioma pleurico nel 2017 dopo quindici anni di sofferenze. Secondo quanto stabilito dal Tribunale di Bologna, che ha condannato il ministero dell’Istruzione a 930mila euro di risarcimento, la malattia le è stata provocata dall’esposizione all’amianto durante l’insegnamento nei laboratori di chimica e fisica della scuola.
Come ha sottolineato l’Inail nell’ultima edizione del Rapporto Mesoteliomi, «l’Italia è attualmente uno dei Paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di malattie amianto-correlate». La peggiore è il mesotelioma, che nel 90 per cento dei casi uccide entro un anno dalla diagnosi e che in Italia provoca circa 2mila morti all’anno. Sono invece complessivamente 7mila, secondo i dati dell’Ona, i decessi annui provocati dall’amianto, ma il dato è in crescita, perché i tempi di latenza della malattia arrivano anche a cinquant’anni: il picco di questa strage silenziosa è atteso tra il 2028 e il 2030. Un numero elevatissimo di morti si conta nelle forze armate. In particolare nella Marina, dove, sempre secondo l’Osservatorio nazionale amianto, negli ultimi trent’anni si sono registrati 3mila decessi per patologie asbesto-correlate.
«Due anni dopo essere andato in pensione, mio padre ha iniziato a lamentare spasmi a un occhio», racconta Riccardo, figlio di Francesco Volterrani, sottufficiale della Marina morto nel 2000 a soli 53 anni. Quegli spasmi, si scoprirà poi, erano causati da una metastasi al cervello che comprimeva il nervo ottico: Volterrani aveva un tumore al polmone. E a causare quel tumore – come stabilito dal Tribunale di Roma – è stato l’amianto che l’uomo ha respirato sulle navi militari (a La Spezia) e nelle caserme (al Centro di applicazioni militari dell’energia nucleare di Pisa). I consulenti tecnici del Tribunale hanno ravvisato che «ci fu esposizione ad amianto sotto forma di polverosità diffusa» e «non ci fu utilizzo di dispositivi di protezione individuale e collettiva». «Solo molti anni dopo la scomparsa di mio padre abbiamo capito che c’era una correlazione tra il suo lavoro e la sua morte», spiega il figlio di Volterrani, anche lui assistito dall’Ona in una lunga battaglia legale, culminata con la condanna del ministero della Difesa a risarcire la famiglia complessivamente con circa 700mila euro.
Governo fermo o quasi
«La mobilitazione delle vittime, dei parenti, dei sindacati e delle associazioni ha permesso di sconfiggere la lobby dell’amianto, e quindi ottenere la messa al bando della fibra killer», osserva il presidente della Ona Bonanni, che d’altra parte lamenta però come per le bonifiche – urgenti – le procedure siano «lente», le norme «poco chiare» e i costi «esorbitanti». E il Pnrr? Nel documento elaborato dal Governo la parola «amianto» è menzionata una sola volta in 273 pagine, in un passaggio del capitolo dedicato all’agricoltura sostenibile: si prevede di installare pannelli a energia solare sui tetti delle aziende agricole «realizzando contestualmente una riqualificazione delle strutture produttive oggetto di intervento, con la rimozione dell’eternit/amianto sui tetti, ove presente». Un po’ poco. Anzi, secondo l’avvocato Bonanni ciò equivale a dire che il «tema amianto è stato completamente ignorato». Ma il presidente dell’Ona avverte: «Nel corso della cosiddetta transizione ecologica ci si imbatterà molto spesso in siti contaminati, che dovranno quindi essere per forza bonificati. Noi vigileremo perché sia così».