Il 12 febbraio 2020 viene presentato al Cts un documento dal titolo: “Scenari di diffusione di 2019-NCOV in Italia e impatto sul servizio sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente”. Questi scenari prevedono fino a 70 mila morti nel nostro Paese. Lo studio viene elaborato dal matematico della Fondazione Bruno Kessler di Trento, Stefano Merler, membro della task-force lombarda e consulente del Cts. Di questi scenari viene a conoscenza anche il responsabile Areu, Alberto Zoli, presente alla riunione in qualità di rappresentante delle Regioni e membro della task-force lombarda. Zoli, tuttavia, afferma di non averne mai parlato con la Giunta Fontana, per un patto di riservatezza sottoscritto con i membri del Cts.
Nel verbale della riunione del 12 febbraio 2020 si legge: «Sulla base di questi elementi è stato dato mandato ad un gruppo di lavoro interno al Cts di produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di piano operativo di preparazione e risposta ai diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019 nCoV». Questa prima bozza di Piano Covid viene presentata da Merler e Zoli a Speranza il 20 febbraio. Si basa sugli scenari di Merler illustrati una settimana prima al Ministro della Salute. La scelta di stilare questo piano ad hoc viene suggerita al Ministro dal Presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, che ritiene il piano pandemico vigente inadeguato per fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso. Si presuppone che il capo del braccio tecnico-scientifico del Ministero della Salute avesse valutato a fondo il vecchio piano del 2006, prima di scartarlo. E invece la notizia sorprendente è che non lo abbia nemmeno letto e che nessuno lo abbia mai portato alla sua attenzione. Questo è quello che dichiara Brusaferro agli inquirenti bergamaschi, ammettendo di aver preso visione del vecchio piano pandemico solo a maggio 2020, come confermato dalla Procura di Bergamo. Ma siamo sicuri che nessuno abbia mai sottoposto il piano pandemico al presidente della massima autorità scientifica del nostro Paese? E perché il presidente dell’Iss, membro del Cts, suggerisce al Ministro Speranza di adottare un piano alternativo senza aver mai letto quello in vigore? Brusaferro non ha mai accettato di rispondere a queste domande.
Ed è anche su questo aspetto che la Procura sta indagando, ricostruendo il processo decisionale che ha portato a non adottare un piano che, seppur vecchio, era comunque incardinato in una legge dello Stato e che soprattutto, secondo gli inquirenti, si sarebbe dovuto attivare non appena l’Oms – il 5 gennaio 2020 – lancia il primo campanello d’allarme.
Ma c’è un altro aspetto misterioso di questa vicenda, su cui vale la pena indagare. Del Piano Covid illustrato al Ministro Speranza il 20 febbraio si torna a parlare nella riunione del Cts del 2 marzo, quella del mattino. Nel verbale ufficiale pubblicato sul sito della Protezione Civile si legge: «Circa il Piano di organizzazione della risposta dell’Italia in caso di epidemia il Cts concorda di adottarlo nella versione finale» e «sottolinea la necessità di mantenere “riservato” il contenuto del piano» che, tra l’altro, non verrà mai adottato dal Governo. «L’Italia aveva un piano pandemico, ma non lo ha applicato – commenta Crisanti – ne ha stilato uno ad hoc che ha secretato e quindi il nostro Paese ha affrontato questa pandemia senza bussola, con tutta una serie di misure creative modificate giorno per giorno».
I nodi irrisolti
Rispetto a questo Piano Covid segreto c’è un passaggio interessante nella relazione finale della Commissione regionale d’inchiesta sull’emergenza sanitaria, che merita attenzione. «Il Ministro della Salute – si legge nel documento pubblicato sul sito di Regione Lombardia – ha affermato che le Regioni sapevano del Piano (segreto – ndr), posto che, all’interno del Cts sedeva Alberto Zoli, DG di Areu Lombardia. Ma Zoli nulla aveva rivelato a Regione Lombardia, avendo assunto precisi obblighi di riservatezza». A tal proposito Regione Lombardia rimarca un fatto: «Ciò che è gravissimo è che il Cts abbia elaborato un piano di risposta al Covid senza informare le Regioni e abbia occultato alle Regioni stesse le proiezioni drammatiche del prof. Merler del 12 febbraio. Se l’intento era quello di non diffondere il panico nella popolazione, almeno i vertici regionali avrebbero dovuto essere informati».
Ora, al di là dell’indignazione di Regione Lombardia e delle dichiarazioni pubbliche rilasciate da Zoli a mezzo stampa (confermate anche da Fontana), non è in alcun modo sostenibile che – almeno a partire dal primo caso Covid in Italia, ovvero dal 20 febbraio 2020 – il direttore di Areu non abbia condiviso con i propri referenti e con l’unità di crisi di Regione Lombardia gli scenari apocalittici di Merler. Davvero nessuno in Regione Lombardia era stato avvisato dei contenuti di quelle proiezioni e dell’esistenza di un Piano Covid ex novo? Dal momento in cui si scopre che il virus è arrivato nel nostro Paese appare quasi scontato (e sarebbe grave il contrario) che chi rappresentava le Regioni dentro al Cts condividesse queste informazioni cruciali con la prima regione colpita dal Sars-Cov2, che era anche la propria regione di appartenenza, la Lombardia. Dunque, delle due l’una: o Regione Lombardia era al corrente degli scenari drammatici di Merler e quindi ha mentito all’opinione pubblica sul proprio grado di consapevolezza della gravità della situazione (per avere un alibi per la mancata richiesta ufficiale di zona rossa), oppure non aveva alcun senso avere un rappresentante delle Regioni dentro al Cts, vale a dire Zoli, dal momento che non ha condiviso un’informazione importantissima con i vertici regionali, in ossequio alle richieste (insensate, a nostro avviso) di riservatezza imposte dal Cts ai propri membri.
Ma questo aspetto misterioso, che si aggiunge a molte altre versioni ufficiali tutt’oggi discordanti, lo scopriremo solo quando verranno chiuse definitivamente le indagini e verranno desecretati tutti i verbali delle audizioni giudiziarie.
Assumono enorme rilievo, a questo punto, le dichiarazioni del matematico Stefano Merler – autore del cosiddetto Piano Covid segreto – rilasciate a Riccardo Luna il 7 settembre 2020. Alla domanda del giornalista sul perché siano bastate meno di due settimane per raggiungere il caso numero mille, dal momento che nel suo studio il virus avrebbe dovuto impiegare oltre 200 giorni per arrivare a quella cifra, Merler risponde così: «Speravamo che il virus non fosse già in Italia. Nelle stime conclusive (la versione finale del Piano Covid è del 4 marzo, ndr ), quel numero diventa 38 giorni. Un valore che conferma che i primi casi risalgono a gennaio e che quello che abbiamo chiamato paziente zero era il paziente mille». Infine il matematico conclude, dicendo: «Lo studio dimostrava che senza lockdown solo in Lombardia avremmo avuto 20 mila morti in un mese». In realtà, il caso numero mille (che indicava la criticità massima del nostro sistema sanitario), come conferma lo stesso Merler in questa intervista, si raggiunge con molti giorni di anticipo rispetto alla previsione di 38 giorni, ma nessuno nel Cts e nel Governo sembra accorgersene. O forse, se ne accorgono tardi, motivo per cui viene decretato solo il 9 marzo quello che il consulente scientifico del Ministero della Salute, Walter Ricciardi, ha definito un lockdown «di cieca disperazione» in un articolo scientifico del 2 aprile 2020 citato in una nota del controverso rapporto Oms sparito dal web e ottenuto da Agi attraverso il Comitato dei familiari delle vittime Covid-19. Infine, tra i “misteri” irrisolti di questa pandemia vale la pena ricordare anche quello legato a una dichiarazione rilasciata il 21 aprile 2020 dal Direttore della Programmazione del Ministero della Salute, Andrea Urbani, che sulle pagine del Corriere della Sera afferma come «già dal 20 gennaio (2020, ndr) avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito. La linea è stata non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio». Abbiamo fatto numerose richieste di accesso agli atti presso il Ministero della Salute e quel “piano secretato” pronto “già dal 20 gennaio” non ci è mai stato consegnato. Dunque, alla data del 20 gennaio 2020 non è provato che esistesse un piano ad hoc contro il Covid. Esisteva solo il piano pandemico nazionale. Rimasto chiuso nel cassetto.
L’INCHIESTA DI TPI SULLA MANCATA CHIUSURA DELLA VAL SERIANA PER PUNTI:
- Quel 23 febbraio ad Alzano Lombardo: così Bergamo è diventato il lazzaretto d’Italia (Parte I inchiesta di Francesca Nava su TPI)
- ESCLUSIVO TPI: Una nota riservata dell’Iss rivela che il 2 marzo era stata chiesta la chiusura di Alzano Lombardo e Nembro. Cronaca di un’epidemia annunciata (Parte II inchiesta di Francesca Nava su TPI)
- Il dirigente condannato, l’assessore incompetente, il direttore pentito. La catena di comando che poteva fermare il virus all’ospedale di Alzano Lombardo ma non l’ha fatto (Parte III inchiesta di Francesca Nava su TPI)
- Quel decreto del 23 febbraio ignorato da tutti: Alzano e Nembro dovevano essere chiusi anche con un solo positivo
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