Bruno Vespa intervista la donna vittima di violenza Lucia Panigalli: il commento della scrittrice Giulia Blasi
Sta facendo molto discutere l’intervista di Bruno Vespa nella sua trasmissione Porta a Porta dove ha intervistato una donna vittima di minacce dal suo ex compagno con un atteggiamento che in molti hanno ritenuto maschilista e offensivo.
Ne abbiamo parlato con chi di femminismo se ne occupa e ne scrive da sempre: Giulia Blasi, scrittrice, conduttrice radiofonica e giornalista italiana specializzata in temi relativi alla situazione femminile e al femminismo.
La mia prima domanda è: perché invitare in trasmissione una donna che ha subito una violenza del genere per poi umiliarla? Questa cosa non la capisco.
Tra l’altro stiamo parlando di persone che non hanno un ufficio stampa che possa far valere le loro ragioni, sono persone generalmente non schermate che mettono a disposizione la propria storia al servizio di una conversazione più larga.
Invece poi ci troviamo di fronte a questi casi dove non si capisce se è di più la malafede, il desiderio di fare spettacolo sulla pelle degli altri o semplicemente provare a fare i provocatori.
Vespa in un certo senso ha riproposto tutte quelle che sono le obiezioni della società di fronte a un atto di violenza senza però esplicitare in nessun modo una posizione contraria. Per cui in sostanza una ri-vittimizzazione in diretta di una persona che non ha possibilità di difendersi.
Il problema diventa subito “cosa hai fatto tu?”: “Cosa hai fatto quando hai subito violenza”, “perché non l’hai lasciato”.
Poi diventa perfino un “cosa hai fatto tu” quando Vespa ti ha trattato in televisione perfino come se tu fossi una sopravvissuta: perché se si muore ci piangono ma se abbiamo addirittura l’ardire di sopravvivere ci accusano delle violenze che abbiamo subito e ci dicono che tutto sommato ci è andata bene perché siamo state delle stupide.
La violenza sulle donne non viene assolutamente presa sul serio perché è considerata un fenomeno episodico che si può prevenire semplicemente non accoppiandosi con i violenti, come se il violento avesse un cartello in faccia con scritto “ciao, sono violento”.
Come se le persone non avessero rapporti che iniziano in una modo e finiscono in un altro. E soprattutto come se tutti avessimo gli strumenti nella nostra vita per sfuggire a un uomo violento.
È difficilissimo uscire da una storia di violenza: moltissime delle donne che ci riescono e ottengono addirittura delle condanne sono comunque a rischio, come l’ospite di ieri da Vespa e moltissime muoiono.
Non ci sono centri antiviolenza, l’ultima legge sulla violenza è stata fatta senza fondi né per la prevenzione (che è una questione culturale) né per il soccorso alle donne che denunciano, quindi è proprio un fenomeno che non viene preso sul serio perché viene giudicato episodico.
Non si capisce che la violenza si inserisce in una cultura sbagliata più ampia che tratta le donne come oggetti o come cose o come esseri che dovrebbero adeguarsi a uno standard morale. C’è un problema molto grosso di maschilismo che poi finisce in alcuni casi in violenza.
Intanto ci siamo sbarazzati della più nociva presenza di maschilisti con l’ultimo governo. Salvini era una persona veramente deleteria per la pacifica convivenza delle persone nella società, anche e soprattutto per la pacifica convivenza tra uomini e donne.
Ma il maschilismo non è affatto finito, anche perché ci rifiutiamo di fare entrare il femminismo nella discussione generale e continuano a considerarlo un movimento di frangia.
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