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    C’è chi dice no: con gli insetti a tavola è a rischio la qualità e la trasparenza di ciò che mangiamo

    Credit: AP Foto

    Vermi. Coleotteri. Grilli. La diffidenza verso i “nuovi alimenti” non riguarda solo le abitudini culinarie. Ma è una questione di sicurezza e trasparenza. E Coldiretti denuncia a TPI: “Non vediamo vantaggi per l’ambiente”

    Di Giuliano Guida Bardi
    Pubblicato il 10 Feb. 2023 alle 07:00

    «Vieni a cena da noi, stasera? Stiamo leggeri: ci facciamo una zuppetta di grilli e una fritturina di vermi della farina…». Non mancherà moltissimo tempo perché anche nelle strade del Paese del parmigiano, della carbonara e della mozzarella di bufala, si ascolti una conversazione come questa. Da qualche giorno, infatti, è entrato in vigore il Regolamento sul “Novel Food”, come i burocrati di Bruxelles hanno definito i (nuovi) alimenti che non fanno (facevano) parte della nostra tradizione alimentare.

    Da gennaio la farina di “Acheta domesticus”, il grillo che canta sotto le vostre finestre, e di “Alphitobius diaperinus”, le larve del verme della farina, sono alimenti commercializzabili in tutto il territorio dell’Unione europea. Seguono l’introduzione, già completata lo scorso anno, della farina di “Tenebrio molitor”, la larva gialla di una specie di scarabeo, e della “Locusta migratoria”, le cavallette, cioè. Potremo trovare queste gourmandiseries negli scaffali del supermercato sotto casa, sia confezionati come pacchi di farina, ricca fonte di proteine, oppure, già bell’e pronte dentro pane, barrette e snack, minestre precotte, preparati a base di carne.

    Tradizione o pregiudizio
    Un traguardo di progresso, mentre il mondo ha superato gli 8 miliardi di abitanti e serve sempre più cibo? Un successo anche per l’ambiente, perché l’allevamento intensivo mondiale di bovini, suini o pollame immette nell’atmosfera quantità enormi di anidride carbonica? Oppure si tratta, come vuole il conservatorismo (anche alimentare) dei nostalgici degli spaghetti, di un disastro per la nostra cultura, per la nostra industria e per la nostra salute?

    Non ha dubbi Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti: «L’introduzione di questi alimenti di cui non si sentiva la necessità è rischioso sotto tre aspetti: qualità dell’informazione, qualità del cibo, qualità della produzione», dichiara a TPI. «In primo luogo l’Unione europea e l’Italia obblighino a dare indicazioni chiare. Ci vuole un’etichettatura trasparente. Non può succedere che un “novel food” sia inserito in un prodotto alimentare e il consumatore non sia in grado di saperlo. In secondo luogo, non si può dimenticare che questi sono cibi potenzialmente molto allergenici: gli insetti hanno un esoscheletro chitinoso e causano intolleranze e reazioni. Non solo, hanno dei peli urticanti che possono provocare molti fastidi. Questo va segnalato con chiarezza ai cittadini, come quando si scrive sulle etichette: “contiene noci” o “contiene derivati del latte”. Terzo: ci deve essere una filiera controllata in tutto il percorso produttivo. Devono essere verificati i luoghi in cui si allevano gli insetti, i mangimi che vengono utilizzati per crescere e nutrire le larve nonché tutte le sostanze che siano usate per evitare che grilli & co. si ammalino. Onestamente, che tutte queste procedure vengano regolarmente e scrupolosamente seguite in Vietnam, Thailandia e Cina, principali produttori mondiali di queste farine, ci sembra un po’ velleitario».

    Che non si tratti di un pregiudizio culturale di Coldiretti lo testimonia il fatto che il “Sistema rapido di allerta comunitario”, una rete costituita dall’Autorità comunitaria per la sicurezza alimentare (Efsa), dagli Stati membri dell’Unione e dalla Commissione europea, ponga proprio Vietnam, Thailandia e Cina tra i Paesi maggiormente attenzionati per i rischi alla salute e all’ambiente. «Se si informa, si controlla e si avvisa – conclude Lorenzo Bazzana – chi vuole farsi una scorpacciata di grilli, se la faccia pure. Noi continueremo con una sana dieta mediterranea».

    A chi fa bene
    Ma che differenza c’è tra un’insalata di grilli e un fumetto di gamberoni? Perché ancora oggi il 54 per cento degli italiani è contrario a mangiare il “novel food” e solo il 16 per cento è a favore? «Culturalmente è un altro mondo, non fanno parte delle nostre tradizioni e non se ne sente l’esigenza», dice a TPI Martina Donegani, biologa nutrizionista e autrice del best seller “La Salute in Cucina”.

    «Però dal punto di vista alimentare questo tipo di farine sono realtà assolutamente valide. Sono un’eccellente fonte di proteine, in primis. Con una qualità media superiore addirittura a quelle della carne bovina che mangiamo in genere. In ottica nutrizionale sono prodotti molto validi, tanto è vero che si sta iniziando ad aggiungere alle farine comuni, per arricchirle, un 2 per cento di proteine di provenienza “novel food”. Le proteine sono il nutriente più costoso e anche quello – spesso – meno ambientalmente sostenibile. Non va dimenticato, poi, che secondo la Fao si tratta di una filiera pienamente rispettosa dell’ecosistema, perché è una filiera corta. Il che vuol dire che impiega poche risorse energetiche e ambientali». 

    Neanche su questo i conservatori sono d’accordo. Sempre Lorenzo Bazzana, sempre Coldiretti: «Giudizi affrettati. I grilli, come gli altri insetti, ci vengono venduti come il prodotto che metterà al sicuro l’ambiente, devastato dalle vacche, dai maiali e dai polli. Ma mica i grilli li andiamo a prendere, bucolicamente, inseguendoli con la retina nei campi! Bisognerà comunque realizzare strutture fisiche di allevamento, perché altrimenti i grilli scappano via. Va certificata l’alimentazione delle larve. Sarà necessario allestire e organizzare servizi veterinari specializzati. Bisognerà controllare i pesticidi e i farmaci che inevitabilmente si useranno. La filiera deve essere costruita analogamente a quella degli allevamenti bovini, suini, avicoli. Altro che filiera corta… Noi il risparmio dell’ambiente, francamente, non lo vediamo».

    Soluzioni alternative
    Argomentazioni che non hanno smosso l’Unione europea. Certo, ci sono anche tanti interessi economici dietro. «La spinta forte viene da chi vuole farci business – prosegue Bazzana – e ritiene di poter trovare uno spazio, piccolo o grande che sia, per differenziare un prodotto nuovo sullo scaffale. Non bisogna tralasciare, tuttavia, l’onda emotiva della moda radical-chic di chi crede di salvare il mondo mangiando carni sintetiche o coleotteri. Il mondo si preserva con i comportamenti virtuosi. Noi pensiamo, ad esempio, che la fonte di proteine più interessante rimangano comunque i legumi, la cui coltivazione è meno invasiva di un allevamento di larve e bacherozzi, anche perché agli insetti dobbiamo dare da mangiare qualcosa, alle lenticchie no».

    Ma il fronte progressista non cede: «Se non crediamo alle nostre istituzioni, il problema è grave», ribatte a TPI Martina Donegani. «Questi nuovi alimenti sono disciplinati dalla legislazione alimentare comunitaria, con un regolamento. Prima di essere messi sul mercato hanno superato esami e test sui requisiti di salute e sono considerati sicuri. Le etichette ben vengano, ma questo per tutti i prodotti, alimentari e non. Purtroppo i consumatori non leggono le etichettature e spesso – anche se le leggono – non sanno interpretarle. Sono a favore della certificazione dei cibi e degli allevamenti, ma anche di un’educazione di chi va a far la spesa. Dobbiamo abituarci a leggere meglio cosa mettiamo in corpo».

    Già: per i farmaci esiste – e vivaddio! – un iter autorizzatorio lungo e complesso che passa per stringenti controlli eseguiti dalle varie agenzie pubbliche preposte, dall’Ema all’Aifa. Nessuno immette sul mercato farmaci a sentimento. Con il cibo le maglie sono più larghe e non ci si occupa troppo degli additivi o degli edulcoranti usati, come ad esempio, il biossido di titanio, sbiancante strausato dall’industria alimentare e di dubbia salubrità. O i coadiuvanti chimici usati per staccare i prodotti da forno dalle teglie, mai citati in etichetta. O, ancora, le nanotecnologie sempre più spesso usate per rendere gustosi gli alimenti o per aumentare la bio-disponibilità dei nutrienti, nell’ignoranza, però, di chi se li mangia. Tutto opaco, più delle larve della farina. Tutto volatile, più di un grillo.

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