«L’orologio più caro che ho venduto? Intorno al milione di euro». Parte così, con cifre di questo tenore, il nostro viaggio nel “mercato parallelo” degli orologi di lusso. Un mercato in cui il valore di un bene così ricercato (e non solo per mero collezionismo) raddoppia, triplica, spesso quadruplica. E, in alcuni casi, perfino decuplica rispetto al prezzo di listino. «Pensate che io ero partito con gli Swatch. Poi mi sono reso conto che riuscivo a rivenderli a un prezzo più alto di quello ufficiale. E allora mi sono detto: perché non provare con gli orologi di lusso?». È così che Ivan Szydlik è diventato uno dei reseller più importanti e ricercati tra Italia e Svizzera. Tecnicamente, parliamo di chi compra e rivende oggetti di qualsiasi tipo. In questo caso beni ricercati, spesso prodotti in edizione limitata, e soprattutto difficilmente rintracciabili sul mercato. Esattamente come gli orologi più ambiti in commercio.
Basta andare in giro nelle principali strade dello shopping italiano – via Montenapoleone a Milano o via del Corso a Roma, tanto per citare quelle più emblematiche – per rendersi conto di un dettaglio che così “dettaglio” non è: nelle vetrine delle gioiellerie o dei rivenditori dei principali brand di orologi “altolocati” quasi ogni modello è accompagnato da un piccolo e curioso targhettino: «For display only» o, ancora, «For Exhibition only». Al di là delle parole, la sostanza non cambia. I piccoli oggetti di lusso esposti, che a persone poco esperte potrebbero sembrare banali orologi, non sono disponibili. Insomma, nei negozi che li espongono è impossibile comprarli.
Per averne la certezza, abbiamo deciso di provare in prima persona. Siamo così entrati in una gioielleria molto conosciuta di Roma per verificare la disponibilità di uno dei noti modelli trionfalmente mostrato in vetrina. «Mi spiace – ci ha spiegato la commessa – non è al momento acquistabile. Se volete, e se siete disposti ad armarvi di pazienza, posso mettervi in lista d’attesa». Ma quanto tempo occorre aspettare? «Se va bene, per quel modello servono tre anni». Una vita.
Un giro d’affari in crescita
Ed è qui che subentra il fascino (e il guadagno) del reseller: «Ti faccio un esempio: un orologio che viaggia sui 50mila euro come prezzo di listino e oggi introvabile, io potrei rivenderlo anche a 100mila euro. Ci sono persone che sono assolutamente disposte a spendere queste cifre», prosegue Ivan, che con questo lavoro è diventato, partendo da zero e da una famiglia di umili origini, che lui rivendica, uno dei leader nel settore. «Si tratta della vecchia legge della domanda e dell’offerta», riflette. Ovviamente il tutto avviene in modo formalmente legale, e all’ombra delle case di produzione e dei grandi marchi che non riescono a immettere sul mercato più oggetti di lusso di quanto già non facciano perché – ed è questo il motivo, in alcuni casi, dei costi elevati – si richiede un’esperienza manifatturiera di altissimo livello.
A beneficiarne, così, sono i reseller. Ma non soltanto loro. La catena, infatti, è spesso intricata, lunga e difficile da comprendere. «Ognuno finisce con essere reseller di qualcun altro», ci spiega un collega di Ivan Szydlik, di stanza a Roma, che preferisce restare anonimo. La domanda è immediata d’altronde: dove acquistare nel momento in cui il mercato è bloccato? «Da altri privati che rivendono a loro volta a prezzi maggiorati, e così via. Altri si rivolgono ad aste specializzate sperando in affari. Altri ancora, come me, hanno degli accordi ufficiosi con alcuni rivenditori». Il racconto ci lascia senza parole: «Può capitare – ci racconta l’anonimo – che a qualche commerciante arrivino dieci orologi di lusso: sette li dà a chi è in lista, per gli altri tre invece mi contatta e io li acquisto, a patto che magari spenda altri 4-5mila euro in gioielli facendolo così guadagnare anche su altri prodotti». Tutto, ovviamente, all’insaputa dei grandi marchi.
Questo però non è l’unico mercato in forte espansione. «Sta prendendo sempre più piede anche il cosiddetto after-market», aggiunge Ivan Szydlik. In pratica, i committenti chiedono di farsi personalizzare orologi di lusso facendoli diventare unici nel loro genere: «C’è chi magari vuole mettere le proprie iniziali nel quadrante, chi ancora vuole tempestarlo di diamanti. La personalizzazione è un must. In questi casi, l’importante è non toccare il meccanismo. Altrimenti diventerebbe un falso. Così invece non solo resta originale, ma acquista un valore unico. E ancora più elevato».
E tutto questo crea un giro di affari spaventoso. Che spesso vive sul contante. «Non ci giriamo attorno: questo è un mercato che vive sul denaro liquido, sul cash, sul nero», ci racconta ancora l’anonimo romano. E un esempio si spinge a farlo, esplicitamente, anche Ivan Szydlik: «Se uno vuole andare all’estero e ha parecchio contante, come fa? Non può. Un modo intelligente diventa allora comprare un orologio e metterselo al polso. Chi controlla? Poi, se ti servono di nuovo i contanti, lo rivendi senza problemi in loco».
Una dinamica, ci confidano tutti, più comune di quel che si pensi. All’estero come in Italia. Perché a quanto pare se per qualcuno l’orologio è dimostrazione di uno status-symbol (i social sono pieni di calciatori e vip che sfoggiano oggetti anche da centinaia di migliaia di euro), per altri è diventato un cosiddetto “bene rifugio”: «Ha più senso investire in un orologio ormai che andare a depositare i soldi in banca. Nel primo caso infatti sai di aver acquistato un bene che non perde mai di valore. Semmai lo aumenta. Il rischio è zero».
Le bande criminali
Il confine tra lecito e illecito diventa così sottilissimo: «Per chi ha enorme disponibilità di liquidità, l’orologio di lusso si dimostra un affare irrinunciabile», confida ancora Ivan. Sarà anche per questo che negli ultimi anni si sono moltiplicati – e non di poco – i furti. Altro “mercato” (e business) in irrefrenabile crescita. Secondo quello che è emerso da alcuni recenti fatti di cronaca, esiste tanto al Nord quanto al Sud bande criminali specializzate in questo “settore”. A Napoli ci sono i cosiddetti “trasfertisti”, spiega Raffaele Giardiello, super-poliziotto oggi in pensione che fino all’anno scorso si è occupato specificatamente del mondo dei “rubarolex”. «Da qui partono solitamente in tre, due ragazzi e una ragazza. I ragazzi noleggiano con un documento falso un motorino una volta che arrivano a Milano, Torino o all’estero, principalmente in Spagna. Appena individuano la vittima, rubano l’orologio che finisce poi nelle mani della ragazza che tranquillamente prende il treno per tornare a Napoli».
Le modalità di furto sono solitamente sempre le stesse: o il cosiddetto “strappo” – si aspetta che la persona sporga il braccio fuori dal finestrino dell’auto così da “strappare” l’orologio prendendolo dal cinturino – oppure vere e proprie minacce con pistole o coltelli. Ma l’ingegno criminale nasce nel momento successivo al furto: «Una volta il bene rubato arrivava nelle mani del ricettatore che ovviamente poteva rivenderlo a un prezzo piuttosto basso dato che qualcuno avrebbe facilmente potuto capire che si trattava di un oggetto trafugato. Ora non è più così», spiega ancora Giardiello. Adesso c’è chi è diventato “maestro” nel cancellare il numero di serie che ogni orologio possiede e nel cesellarne un altro preso da uguale modello di uguale marca. «In questo modo diventa praticamente impossibile distinguere l’orologio acquistato e l’orologio rubato. Ed ecco allora che il prezzo torna a salire vertiginosamente», spiega Giardiello. Con il rischio che nel mercato parallelo un oggetto frutto di attività criminale possa finire davvero nelle mani di chiunque.
Tra Italia e Svizzera
Per capire quanto siano strutturate le bande criminali c’è un episodio che TPI ha la possibilità di raccontare in esclusiva, di cui è stato vittima lo stesso Ivan Szydlik. «Qualche tempo fa – racconta – mi sono trasferito a Lugano e ho cominciato a svolgere la mia attività anche qui. Non a caso vengo contattato da un mio conoscente che ha diverse amicizie, tra imprenditori, personaggi dello spettacolo e medici interessati agli orologi di lusso». È a questo punto che, per far sì che Ivan creda alla possibilità di un’ampia clientela, gli viene presentato un famosissimo concessionario di Lugano: «Quando è arrivato aveva un’importante macchina di lusso. E mi dice subito di essere interessato ad acquistare un orologio da me, tanto che cominciamo a trattare su alcuni oggetti in mio possesso».
È qui che, secondo Ivan e secondo la denuncia che Ivan stesso ha poi presentato, comincia qualcosa di strano. Il conoscente e il concessionario dicono al reseller che ci sarebbe una terza persona intenzionata a comprare un orologio. Questa persona viene presentata come il dottor Mark. «Mi fissano un appuntamento con questo dottor Mark e mi chiedono se avrei potuto mostrargli due orologi importanti, tra cui un Patek Philippe». Ivan non ha motivo di dubitare del conoscente e del concessionario. Per cui arriva all’appuntamento e sale al terzo piano di un importante palazzo della città.
È qui, però, che accade l’inaspettabile. «Mi sento spingere da dietro e finisco in avanti. All’interno trovo il mio conoscente e due energumeni». Secondo i documenti ufficiali, Giovanni, il conoscente di Ivan, avrebbe tempo prima acquistato un orologio importante sperando poi in significativi guadagni una volta rivenduto, cosa che però non sarebbe mai accaduta e di cui avrebbe incolpato lo stesso Szydlik. Ecco il motivo del sequestro: rubare il Patek Philippe che intanto Ivan aveva al polso, dal valore di circa 100mila euro. Ed è esattamente quello che accade. «In quel momento l’unico mio pensiero sono stati i miei figli e la mia famiglia, non pensavo ad altro. Anche perché mi hanno subito minacciato dicendomi di non raccontare nulla perché sapevano dove abito». Ore di terrore, dunque. Che Ivan però riesce a gestire con furbizia, restando calmo e accondiscendendo alle richieste dei suoi rapitori. «Sapevo – racconta oggi – che una volta uscito da quell’appartamento avrei potuto rimediare a quella situazione». E così fa.
Quando, dopo le reiterate minacce e la consegna dell’orologio, lo lasciano andare, Ivan raggiunge una volante e denuncia. Da allora sono passati diversi mesi, a breve comincerà il processo. Ma resta un dato: «C’è un’organizzazione strutturata che tiene dentro criminali, ma anche persone in doppiopetto importanti, come nel caso dell’importante concessionario di auto e super-car: sarebbe stato lui a procurare gli energumeni per sequestrarmi». Una sorta di esistenza parallela. In nome di quadranti e lancette dal valore di centinaia di migliaia di euro.