Aver contratto il virus non vuol dire con certezza scientifica che non potrai riaverlo o almeno questo è quanto sostengono molti immunologi tra cui Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Irccs Humanitas e professore emerito dell’Humanitas University, immunologo fra i più citati al mondo che spiega la validità dei test sierologici e come interpretarne i risultati. “Questi test per la ricerca di anticorpi per Sars-CoV 2 sono uno strumento prezioso per valutare la prevalenza e la diffusione del virus e in alcune condizioni cliniche, ma non danno una patente di immunità. Sul singolo a oggi ancora non sappiamo se la presenza di una certa quantità di anticorpi è la spia di una risposta immunitaria che assicura protezione contro l’infezione”, afferma in un’intervista al Corriere della Sera.
Sviluppare l’immunità al Covid
Secondo l’immunologo Mantovani non sappiamo se la presenza di una certa quantità di anticorpi assicura protezione contro l’infezione. “Questo virus non ha studiato sui libri di immunologia e si comporta in modo diverso da quanto siamo abituati a vedere. Nella risposta immunitaria classica prima arrivano gli anticorpi di classe IgM e poi a distanza di giorni quelli di classe IgG, che in genere sono neutralizzanti. Ma il nuovo Coronavirus segue strade diverse, a volte le due immunoglobuline compaiono insieme o invertite. E quando ci sono gli anticorpi IgG è possibile che il virus sia ancora presente ed è per questo che serve il tampone per escluderlo”.
Esistono però delle condizioni per cui è ragionevole pensare che chi ha sviluppato la malattia per un certo periodo resterà protetto da Sars-CoV-2. “La Sars dava ai guariti un’immunità di 2-3 anni e questo virus gli è parente. Il problema è che la stragrande maggioranza delle persone che incontra Covid-19 o non si ammala o lo fa in modo blando: in questo caso non sappiamo se la risposta immunitaria indotta, di cui la presenza di anticorpi è una spia, sia davvero protettiva o se queste persone rischiano una nuova infezione”.
L’affidabilità dei test sierologici
“Lo Stato e la Regione Lombardia hanno scelto due test a mio avviso validi. Ricordiamoci che per i sierologici sulle malattie infettive sono richiesti alti livelli di specificità e sensibilità (oltre 97%) per evitare il più possibile i falsi positivi e i falsi negativi. Oggi sono in commercio un centinaio di test, ma molti, forse la maggioranza non sono stati validati in modo rigoroso. Il governo britannico ne ha acquistato e buttato via 35 milioni rivelatisi inaffidabili. Indipendentemente dalla qualità del test una persona con la presunzione di essere immune può essere indotta decidere di non usare la mascherina o di non rispettare il distanziamento sociale: invece potrebbe ammalarsi e comunque portare in giro il virus”.
Secondo l’immunologo, dopo il test si posso presentare tre scenari. I primi due riguardano un test con risultato positivo. In tal caso o la persona ha già combattuto il virus e lo ha eliminato, pur avendo gli anticorpi, o il virus è ancora presente e il sistema immunitario del soggetto in questione sta ancora combattendo contro il virus.
La terza ipotesi riguarda un test negativo. La persona non ha contratto il virus in passato, ma la validità di tale risposta non compre tutto l’arco temporale, poiché la risposta immunitaria può comparire fino a distanza di 15 giorni-20 giorni dall’esposizione.
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