Intervista al sindacalista dell’Usb sulla decisione di Arcelor Mittal di ritirare acquisizione Ilva
Sergio Bellavita, sindacalista dell’Usb responsabile nazionale del settore Industria, segue da anni la questione dell’Ilva di Taranto e giudica la decisione di Arcelor Mittal di ritirarsi dall’acquisizione dell e acciaierie un’operazione quasi “speculativa”, che forse era già pianificata dal colosso industriale fin dall’inizio della trattativa iniziata nel gennaio 2018.
Sì in parte ce lo aspettavamo perché l’azienda ha di fatto disatteso fin da subito il piano industriale e ambientale che aveva promesso di mettere in atto entro il 2023-2024. Il paradosso è che nel contratto erano state poste delle condizioni molto chiare. Arcelor Mittal sapeva benissimo che doveva mettere in sicurezza gli impianti e provvedere a un piano industriale di stabilizzazione dei lavoratori. Se non lo ha fatto a questo punto mi domando se questa decisione di acquisire per poi cedere un anno dopo non sia stata un’operazione orchestrata ad arte fin dall’inizio.
Il fatto che invece di procedere a una lenta riassunzione di tutti i lavoratori in amministrazione straordinaria, Arcelor Mittal abbia deciso di metterne in cassa integrazione altri 1400 a luglio di quest’anno è il segno che l’azienda non voleva investire. Non va inoltre dimenticato che l’azienda ha anche diminuito il volume della produzione di circa 1,5 milioni di tonnellate rispetto a quanto previsto dal piano industriale. Anche questo è un ulteriore indizio di quelle che erano le sue intenzioni.
Quote di mercato, clienti dell’indotto industriale di Ilva e poi anche il risultato di aver impedito alla rivale Jindal di accaparrarsi le acciaierie. Questo basta a giustificare l’intera operazione speculativa.
Mi sembrerebbe davvero strano che l’azienda non fosse consapevole dei rischi e del tipo di investimento che andava a fare quando nell’ottobre scorso ha sottoscritto il contratto di acquisto. Sapeva che avrebbe dovuto mettere in sicurezza il polo industriale.
Perché in questo anno non si è adoperata per fare ciò che aveva promesso dal punto di vista della sicurezza e ci sono quindi tutti i presupposti perché lo Stato possa aprire un contenzioso con l’azienda.
Non hanno fatto nessun intervento significativo. Si sono limitati alla copertura dei parchi minerari ma sul rifacimento degli impianti, la loro messa in sicurezza e la diminuzione delle polveri non è stato fatto alcunché.
Quest’anno abbiamo fatto diversi questionari. Si è assottigliata la distanza tra i lavoratori e la città. Prima la città chiedeva la chiusura e i lavoratori volevano proseguire con la produzione. Ma dopo la decisione dei vertici di mettere in cassa integrazione altri dipendenti molti hanno smesso di credere alla possibilità che esista davvero un acquirente con la volontà di fare qualcosa per rilanciare la produzione.
Il governo dovrebbe investire le proprie risorse per risanare l’azienda e “bonificarla”, riconvertendo la produzione. Dovrebbe mettere in atto quel piano ambientale e industriale che aveva promesso e che invece non ha mai portato avanti perché in realtà aveva solo in progetto di vendere. Domani incontreremo il ministro dello Sviluppo economico e gli chiederemo di evitare una nuova “messa all’asta” dell’acciaieria al miglior acquirente. È lo Stato a doversene fare carico.
È una possibilità. In tal caso l’intero “bluff” sarebbe stato messo in atto per ottenere lo scudo penale o per rilanciare Ilva con un nuovo piano industriale che preveda una forte riduzione del costo del lavoro e dei dipendenti. Un’altra possibilità invece è che alla luce dei dazi decisi dall’amministrazione Trump Arcelor Mittal abbia valutato che “il gioco non vale la candela” e che gli è più conveniente investire in altri distaccamenti aziendali.
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