È morto il primo settembre Alessandro, a 13 anni, cadendo giù dal suo balcone dal quarto piano a Gragnano in provincia di Napoli. All’inizio si è creduto che si trattasse di un incidente, un perdita di equilibrio cambiando il cavo della tv. Poi però sono stati rinvenuti messaggi di addio alla ragazza “Non ce la faccio più… ricordati di me” e sono emersi mesi di bullismo, minacce e incitazioni al suicidio che hanno portato il ragazzo al limite. Sono indagati 6 ragazzi, tra cui l’ex fidanzata. Uno di loro sarebbe maggiorenne mentre la più giovane avrebbe appena 14 anni.
Nelle chat gli inquirenti della Procura di Napoli e di Torre Annunziata hanno letto diversi “ucciditi”, “buttati giù” riporta Repubblica. Gli indagati, che per età possono tutti essere imputati, sono sospettati di aver commesso il reato di istigazione al suicidio. Alessandro secondo le testimonianze raccolte su diversi giornali, era un ragazzo sorridente, con tanti amici e pieno di interessi, dal basket al teatro. La banda di bulli scagliatasi contro di lui sarebbe stata guidata in parte dall’ex fidanzata, che non riusciva ad accettare il rifiuto del ragazzo, fidanzato con un’altra.
Dopo il tragico evento un militare, coordinatore delle attività sportive della Scuola Ufficiali dei carabinieri ha postato su LinkedIn un commento riferito agli interventi degli psicologi che in televisione hanno messo in luce i pericoli del bullismo: “Se allevi conigli non puoi pretendere leoni” ha scritto “a chi non ha saputo far crescere adeguatamente quel ragazzino. Il problema con un bullo si risolve, da sempre, dimostrandogli che non hai paura di lui”. Un post che veicola la stessa cultura dell'”uomo forte” che contribuisce al prolungamento del malessere e all’omertà, mettendo il peso sulle vittime, inclusi i genitori, di aggressioni che spesso sono subdole e invisibili dall’esterno. Tali dichiarazioni da un formatore di carabinieri hanno destato preoccupazioni sul tipo di formazione che i pubblici ufficiali ricevono su questi temi.