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    Milano, personale del Golgi-Redaelli a TPI: “Vogliamo i tamponi subito, il sistema delle RSA è allo sbando”

    Pietro Cusimano, dipendente dell'Azienda di Servizi alla Persona e rappresentante sindacale a TPI: "Questi pazienti sono i più vulnerabili al Coronavirus eppure nessuno ci fornisce le protezioni"

    Di Redazione TPI
    Pubblicato il 22 Apr. 2020 alle 07:48 Aggiornato il 22 Apr. 2020 alle 10:35

    Il personale del Golgi-Redaelli, riunito in teleconferenza, chiede tamponi urgenti

    La “Azienda di Servizi alla Persona Golgi-Redaelli” è un ente di diritto pubblico con sede legale a Milano e sedi operative a Milano, Vimodrone e Abbiategrasso, dove gestisce strutture per anziani. Nella serata di martedì 21 aprile si è tenuta in teleconferenza la prima assemblea del personale dall’inizio dell’emergenza-Coronavirus, organizzata virtualmente dall’Usb (Unione Sindacale di Base) di Milano. Vi hanno partecipato oltre 170 lavoratori, ma anche parenti degli anziani ricoverati o deceduti. “L’adesione è stata alta considerando che si è trattato di una diretta via streaming”, spiega a TPI il dipendente e rappresentante dell’Ubs Pietro Cusimano.

    “L’obiettivo era rispondere alle molte domande dei colleghi e fornire dei dati chiari che finora non erano stati dati”, continua Cusimano, contattato dal Comitato dei parenti del Golgi, che ha quindi partecipato al video raduno. “I parenti dei pazienti sono convinti che la gravità della situazione attuale sia soprattutto legata al personale: troppo poco, precario ed esterno (in quanto fornito dalle agenzie). Sono infatti oltre 400, su 950 persone addette all’assistenza, tra dipendenti aziendali e lavoratori di società o cooperative esterne, coloro che sono in malattia. Con evidenti problemi nella gestione dei pazienti, che sono centinaia”. Forte da parte dei lavoratori è la rabbia per la mancanza di tamponi, tutt’oggi non effettuati su larga scala né a ospiti né a operatori.

    Complessivamente i decessi nelle tre strutture al giorno 17 aprile risultavano già 177 e di questi 69 erano positivi al Covid e 23 sospetti. Un dato calcolato sicuramente per difetto, visto il bassissimo numero di tamponi effettuato sui pazienti, in particolare a Vimodrone dove al giorno 10 aprile ne risultavano effettuati solo 100 (50 una settimana fa) su un totale aziendale di 522. Un numero bassissimo se si considera che la struttura di Vimodrone ha circa 500 posti letto, quella di Milano quasi 600 e quella di Abbiategrasso poco più di 300.

    E’ proprio la mancata sorveglianza sanitaria sui dipendenti che ha portato a superare i 400 lavoratori assenti per malattia (“Sono a casa per Covid o per giustificata paura?”, si chiede il sindacalista dell’Ubs). Ma altrettanto grave è la situazione dei lavoratori delle ditte in appalto “per i quali le procedure risultano estremamente fumose e ci vengono segnalati rientri in servizio dopo malattie con sintomi influenzali in assenza di controllo con tampone naso-faringeo”.

    Tamponi che peraltro continuano a mancare: “Nessuno li sta fornendo alle RSA, nonostante qui ci siano le persone più vulnerabili al Coronavirus”. “Ad oggi non sappiamo quanti siano i positivi, perché finché non ci sarà una politica dei tamponi seria, non lo sapremo mai”. Nonostante le insistenze dei sindacati, che dal 18 marzo hanno scritto molte volte all’azienda, alle Ats, agli assessori regionali ed anche al prefetto al prefetto e al sindaco di Milano di Milano, per chiedere i dispositivi sanitari per proteggere lavoratori e degenti, tutt’oggi spicca “l’assenza di protocolli chiari a tutela della salute di tutti, operatori e degenti, delle tre strutture assistenziali”.

    Tra coloro che continuano a operare al Golgi-Redaelli la richiesta più insistente resta quindi quella di poter avere dispositivi di protezione individuale, che “è stata la causa del propagarsi così velocemente del contagio”. Per Cusimano a configurarsi come un problema di oggi, ma anche di domani, e non solo per le RSA gestite dal Golgi-Redaelli, è proprio lo scarso numero di tamponi che si stanno facendo e che, precisa, “se è messo in combinazione con il numero dei decessi degli ospiti nelle RSA lombarde, rende l’idea di come hanno funzionato le RSA in Lombardia, al di là degli errori che l’azienda ha fatto fin dall’inizio”. Un dato colpisce in particolare: l’indice di ospedalizzazione di pazienti delle RSA lombarde è stato bassissimo; in questi due mesi, solo 2,2 pazienti per struttura sono stati ricoverati in ospedale. “Se è pur vero che gli ospedali erano stracolmi, gli anziani delle RSA sono stati lasciati senza ossigeno e senza cure adeguate”.

    A parlare sono oggi “i numeri forniti dell’Istituto Superiore della Sanità, che indica in oltre 3045 i morti nel 40% delle strutture RSA lombarde interpellate”. “Se a rispondere è stato il 42% del totale delle RSA interpellate, il dato dei 3045 decessi è molto parziale, potrebbero essere fino a 7.000 se avessero risposto tutti in Lombardia, che rispetto al Veneto o all’Emilia Romagna ha il quadruplo dei decessi”. “Si è partiti in ritardo con l’attivazione dei tamponi, che oggi non ci sono più nemmeno sul mercato, e pure le Ats hanno annunciato che non li daranno alle RSA, il sistema, nonostante migliaia di morti, è allo sbando”.

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