La denuncia a TPI dei giudici di pace contro la riforma Orlando
I giudici di pace contro la riforma Orlando. “Sono giudice di pace da marzo del 2002, di fatto oggi sono il frutto della gig economy: rientro in una categoria di lavoratori che fa fatica a trovare una collocazione. Vengo pagata a gettone, per una giornata intera di processi lavorando dalle 9 alle 18 prendo 35 euro lordi. Non ho tutele, se mi ammalo semplicemente non lavoro e perdo i soldi. Siamo a consumo. Siamo trattati in Europa nello stesso calderone dei rider, quindi il paragone aimé calzante, anche se è stridente. Il confronto con i rider nasce da qui: come loro, noi siamo a consumo”.
A parlare a TPI è Cristina Piazza, giudice onorario e giudice di pace dal 2002 che spiega il forte malcontento nato dalla riforma della magistratura onoraria.
I giudici di pace denunciano il fatto che l’approvazione, nel corso del Consiglio dei Ministri del 20 maggio 2019, dello schema del disegno di legge di modifica della c.d. riforma Orlando, non soddisfi alcuna delle istanze della categoria: “vessata da trent’anni di precariato ed insussistenza di tutele, non avendo con evidenza il Ministro Bonafede e poi il consiglio dei minstri recepito il chiaro ed inequivocabile input di cui al punto n. 12 del contratto di governo che prevede “la completa modifica della recente riforma Orlando”.
“Siamo considerati come dei volontari che si prodigano nella funzione pubblica. Ed è proprio un prodigarsi perché noi lavoriamo a tempo pieno. La categoria dei magistrati interessati dalla riforma Orlando e da queste misure così dure sono: i giudici di pace, i giudici onorari di tribunale e i procuratori onorari”, spiega Piazza.
“I magistrati onorari sono pagati a cottimo e non per tutta l’attività svolta, perché molti adempimenti sono gratis, non hanno riconoscimento di malattia, di previdenza, né di assistenza e non hanno ferie.
Non hanno nulla poiché il datore di lavoro che in questo caso è lo Stato, li considera unilateralmente “volontari” dotati di un particolare spirito di servizio per un ordinamento che si fa sempre più patrigno”.
Io sono giudice di pace da marzo del 2002, sono 17 anni. La legge originaria del 1991 aveva previsto un giudice a tempo e quindi 4 anni + altri 4 anni (incarico di 4 anni, rinnovato solo una volta, con un’indennità a cottimo). A udienza prendo 35 euro, a sentenza ne prendo 56. Per i provvedimenti considerati minori ho un’indennità di 10 euro. Tutto lordo.
I giudici di pace nascono con una legge del 1991 che concedeva ai pensionati delle competenze civili. Nel 2001 un decreto ha introdotto le competenze penali. Nel 2004 hanno aggiunto le competenze di immigrazione e ci hanno dato altri 4 anni. Quando sono finiti gli ulteriori 4 anni, hanno cominciato a fare delle proroghe: di un anno, due. Dopo di ciò si è arrivati ai nostri giorni dove il governo Renzi con il ministro Orlando ha emanato questa riforma attesa da anni. La riforma mette mano alla magistratura onoraria. Ma è stato fatto un pasticcio.
Hanno abbassato i limiti di età e siamo entrati noi, non pensionati, ma persone normali e giovani avvocati senza alcun tipo di tutela. Alcune persone hanno continuato a fare gli avvocati. Altri, per questioni di disponibilità di tempo, no. Come me: io mi sono cancellata dall’albo e faccio questo lavoro da tutti questi anni.
Si è creata questa situazione per cui il giudice di pace fa solo questo lavoro. Oppure ,di facciata fa l’avvocato perché si paga i contributi con la cassa avvocati, ma di fatto riesce a fare l’avvocato solo in via residuale.
La legge Orlando entra in vigore tra un anno e mezzo, siamo ancora sotto il vecchio regime. Orlando interviene perché di fatto dice che il nostro non è assolutamente un lavoro, ma un’attività di volontariato, si potrà fare solo part time e individua dai due ai tre impegni settimanali come occupazione, ci dovrà essere un altro lavoro e ci toglierà il cottimo che in questi anni ci ha permesso di vivere dignitosamente.
Il tetto massimo previsto è 70mila euro, ma è chiaro che ci arrivano pochissimi giudici di pace a guadagnare una cifra del genere. Però nel range c’è di tutto, dipende che tipo di lavoro si fa nell’ufficio. Se per adesso si vive in modo decoroso, senza comunque tutele – io ho fatto la maternità senza nulla – in qualche modo ci siamo arrangiati.
Con la legge Orlando la previsione è che si guadagnerà al massimo 24mila euro, lordi ,compresa anche la previdenza che sarà tutta a nostro carico.
Ai fini fiscali verremo equiparati ai lavoratori indipendenti, quindi autonomi, mentre adesso siamo equiparati ai lavoratori dipendenti, abbiamo la busta paga e tutta la parvenza di un rapporto di dipendenza.
Orlando è intervenuto e ha distrutto tutti gli indici di dipendenza. Perché intanto ci eravamo rivolti alle istituzioni comunitarie e abbiamo una procedura di infrazione in via istruttoria che lo Stato italiano continua a negare, ma c’è. E abbiamo anche una sentenza del comitato europeo dei diritti sociali del 5 luglio 2016, che le istituzioni italiane hanno omesso di considerare, in cui si dichiara che per il principio di non discriminazione noi avremmo diritto ad avere l’equiparazione con la magistratura professionale.
Infatti non chiediamo di essere equiparati ai magistrati professionali, ma un trattamento equiparato al lavoro che svolgiamo. Siamo una categoria di 50-60enni e smaltiamo tantissimo lavoro, considerando che siamo a cottimo e se non lavoriamo, non si mangia.
Il confronto è brutale me ne rendo conto, non vorrei sembrare irrispettosa nei confronti di questi lavoratori. Ma di fatto noi siamo il frutto della gig economy: categorie di lavoratori che fanno fatica a trovare una collocazione. Per una giornata intera di processi lavorando dalle 9 alle 18 prendo 35 euro lordi. Non ho tutele, se mi ammalo semplicemente non lavoro e perdo i soldi. Siamo a consumo. Siamo trattati in Europa nello stesso calderone dei rider, quindi il paragone aimé calzante, anche se è stridente. Il confronto con i rider nasce da qui: come loro, noi siamo a consumo. Senza alcun tipo di tutela.
Solo che i magistrati onorari non portano pizze o sushi, bensì smaltiscono, con costi personali sempre maggiori, il 60-70 per cento della giustizia di primo grado del Bel Paese e con le loro statistiche, di cui la magistratura professionale si avvale, permettono in tal modo a questa di ottenere performance adeguate ai parametri europei.
Noi abbiamo anche la competenza dell’immigrazione: quindi siamo i giudici che decidono se un immigrato ha gli atti in regola per uscire dal paese, per essere espulso, oppure no. Una operazione delicata. Che ci dà degli oneri importanti. Questa funzione la smaltiamo dal 2004, andiamo nei Cie o quelli che oggi conosciamo come Cpr. Ma se succede qualcosa nessuno ci tutela.
Abbiamo anche molto timore a iniziare cause in Italia perché ci bastonano. È il sistema che non dà risposte ai suoi lavoratori. Noi siamo trattati in Europa nello stesso calderone dei rider, quindi il paragone aimé calzante. Anche se è stridente. Ai rider stanno riconoscendo delle tutele, sia come lavoratori a tempo pieno, sia come lavoratori a tempo parziale. Il confronto con i rider nasce da qui: come loro noi siamo a consumo.
Scrivo una sentenza mi danno 56 euro. Se non la scrivo non mi danno niente. Sono mondi che servono entrambi ma hanno bisogno di tutele diverse. Io rappresento lo Stato nella mia aula di tribunale, nell’ufficio del giudice di pace, la legge è uguale per tutti, ma non è vero.
Il cittadino che si presenta da me non sa che io sono trattato in questo modo rispetto al mio cugino maggiore che è il magistrato professionale.
Con il governo giallo-verde l’anno scorso siamo stati protagonisti di un tavolo tecnico con delle premesse mirabolanti dove si diceva che si doveva superare la legge Orlando e applicare la normativa europea. Noi eravamo quasi convinti di farcela.
In realtà il tavolo tecnico ha partorito un disegno di legge che ci accontenta solo in parte perché ci allontana dalla Orlando, ma non ci riconosce come categoria.
Il ddl che sta per iniziare l’esame in Senato presentato dal ministero ha pochi punti positivi. Non è proprio quello cui aspiriamo. In senato inoltre, c’è giacente la proposta di legge della senatrice Valente e del senatore Cucca, come seconda edizione rispetto alla Orlando: l’idea è creare un testo unico tra le due. Per noi come categoria è tutto da vedere.
La giustizia italiana sta per andare verso un sistema in cui il 70 per cento del giudizio civile di primo grado sarà dato nelle mani di persone – forse avvocati o derivati da altre esperienze – e che potranno prestare alla giustizia due impegni alla settimana, non oltre gli otto anni. Questo vuol dire che il giudice che viene fuori da questa riforma non sta da nessuna parte.
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