Giordano Bruschi, 96 anni portati con lucida baldanza, è uno degli ultimi testimoni in vita del fascismo e della Resistenza. Toscano di origine ma genovese d’adozione dal 1937 (aveva 12 anni) padre ferroviere antifascista, è stato staffetta partigiana, trasportava esplosivi da una zona all’altra della città sfidando i posti di blocco tedeschi.
Nel dopoguerra, dirigente del Pci e della Cgil marittimi, ha partecipato alle lotte operaie, è finito in carcere, con migliaia di portuali e operai era sceso in piazza a Genova il 30 giugno 1960 contro il governo Tambroni e il congresso del Msi. Dopo la fine del Pci ha preso la tessera di Rifondazione Comunista di cui è stato dirigente. Oggi non ha tessere di partito, continua a professarsi orgogliosamente comunista e partecipa attivamente alla vita politica della città.
In questa intervista, Bruschi ripercorre 80 anni di militanza attiva a sinistra e si sofferma a riflettere sulla politica contemporanea, sui rigurgiti fascisti e sulla sinistra che ha smarrito la strada.
Bruschi, lei è stato un bimbo fascista, ha vestito la divisa dei Balilla. A 10 anni che cosa era per lei il duce?
“Il mio primo contatto con la realtà fascista avvenne il 3 ottobre 1935. Al secondo giorno di scuola la maestra che indossava anche lei la divisa fascista nera ci portò un giornale che pubblicava il testo del discorso del duce sulla guerra di Abissinia. Ce lo fece rileggere e ripetere a memoria. Non sapevo niente di fascismo ma avevo buona memoria, fui il più bravo dal punto di vista didattico e presi un voto altissimo: lodevole.
La maestra prese il mio diario, segnò il voto e lo segnalò a mio papà. Andai a casa contento e dissi: “Babbo ho preso lodevole perché ho ripetuto il discorso del duce”. Babbo mi tirò uno schiaffo. I Bruschi erano una famiglia socialista, babbo era ferroviere, nel ‘20 aveva partecipato allo sciopero generale e da allora fu un perseguitato, schedato come scioperante, aveva 18 anni e non era neppure sposato. Andai dal vicino di casa e lui mi disse. “Tuo padre ha ragione”.
Lì cominciò la mia prima riflessione politica. Il vicino anche lui era un ferroviere antifascista ed era stato licenziato. “Vieni da ad ascoltare una radio della svizzera italiana, Radio Monteceneri”. Ascoltavo due voci, quella di Mussolini e quella degli antifascisti. Vivevamo ancora a Pistoia, i Bruschi vengono da lì. Poi mio padre decise di venire a Genova, c’erano dei posti da ferroviere, la città era in grande espansione. Andai a finire nelle case dei ferrovieri di via Porro, oggi diventata famosa per il ponte Morandi. Avevo 12 anni”.
La sua conversione all’antifascismo fui molto precoce, vero?
“L’altro elemento determinante per il mio antifascismo arrivò grazie ad un argomento scientifico. Avevo 15 anni, facevo la prima superiore, era l’ottobre 1941, la professoressa ci parlò delle ere geologiche. La terra aveva milioni di anni ed era una cosa diversa da quello che avevo appreso dal catechismo. Le domandai dell’origine dell’uomo: “Allora Adamo ed Eva è tutta una balla…”. I compagi risero e lei: “Domandatelo al professore di religione”. Lui la mise in politica, citò Darwin e l’evoluzionismo ovviamente criticando quella teoria. Io ed alcuni compagni andammo a cercare libri su Darwin in una biblioteca di Sampierdarena, nei locali che erano stati una sede socialista. Il bibliotecario era incuriosito dai ragazzi che cercavano libri su Darwin. Accanto a lui c’era Giacomo Buranello, (futuro partigiano, fucilato nel ’44 ndr) che scelse i libri. Li leggemmo e a scuola contraddicemmo il professore di religione. Io ed altri 4 studenti venimmo espulsi dalle lezioni di religione.
Buranello ci dette anche altri libri salvati dall’incendio della sede socialista del ‘22, uno era il Manifesto del partito comunista. Lo lessi avidamente. La mia conversione all’antifascismo cominciò in pieno regime fascista. Il 7 novembre ‘42 (era il 25esimo anniversario della rivoluzione bolscevica), sotto un bombardamento inglese terribile, creammo un nucleo di studenti comunisti. Ero quindi già pronto nell’impegno antifascista prima del 25 luglio e del 9 settembre ‘43 e infatti il 9 settembre facevamo già le prime azioni, col recupero delle armi”.
Era già comunista?
“Non c’era alcuna organizzazione comunista, tuttavia un militante, alle mie domande sul comunismo mi disse: ‘Tu sei un compagno comunista come il compagno Stalin’. Io sono sempre stato antistalinista, però nel ’43 Stalin era il simbolo della lotta al nazifascismo e così divenni comunista”
Bruschi lei è stato in dirigente della Cgil e poi del Pci, ha guidato le lotte operaie degli anni Cinquanta, è stato incarcerato. Era in piazza a Genova il 30 giugno 1960 con migliaia di operai e portuali contro il governo Tambroni e il congresso del Msi. Cosa ricorda di quei giorni? Anche allora si parlava di diritti negati.
“Ero operaio alla San Giorgio e nel ’50 e la direzione lasciò lo stabilimento per continuare la produzione in autogestione. La Fiom Cgil voleva salvare l’industria a Genova e questo è ancora un problema di grande attualità. Sono stato due mesi in galera. Fui licenziato e trovai lavoro alla Cgil, Di Vittorio mi chiese di occuparmi dei marittimi, feci per 17 anni il segretario. Facemmo uno sciopero di 40 giorni, oggi si sciopera per due giorni. In tutti i porti del mondo ci hanno imitato, persino a New York.
Proposi ai Costa, ai Fassio, ai Lauro una nuova politica marinara: i traghetti, le portacontainer e le navi da crociera. La Finmare rifiutò, i Costa invece accettarono, però Genova perse una grande occasione. Passai al Pci, fino al ’91, mi sono rifiutato di seguire Occhetto, sono diventato dirigente di Rifondazione comunista, lottando contro gli estremisti e gli stalinisti e nel ‘97 ho fatto l’accordo col sindaco Pericu e con i Ds che ha retto al comune di Genova, fino al 2017, quando è arrivato Bucci. Dal 2004 non sono più iscritto a nessun partito, resto un comunista senza tessera. Grazie a mia moglie sono diventato ambientalista, ho difeso l’acqua pubblica, mi sono interessato del ciclo delle acque, ho studiato Leonardo da Vinci. Gli scolmatori del Fereggiano e del Bisagno salveranno Genova dalle alluvioni. Oggi quei temi si ripropongono con forza”.
Vede analogie con la situazione politica attuale e la politica confindustriale di Bonomi appiattita sul governo Draghi?
“Resto dell’opinione che occorre un governo di sinistra, anzitutto a Genova e anche nel Paese. Draghi ha portato una novità in Europa, è passata dal rigorismo che ci ha tormentato e ora col Covid ad una politica keynesiana. La borghesia purtroppo vuole i soldi ma non vuole la programmazione economica. Toti e Bucci, parlo di Genova, vogliono i soldi europei ma in giunta hanno Lega e Fratelli d’Italia. Queste contraddizioni verranno fuori. Anche nel governo Draghi c’è uno schema analogo. Agiscono forze contrastanti. Spero molto nelle prossime elezioni, Savona sta voltando pagina. Il modello è il ‘97, alleanza a sinistra tra il Pd e le forze di sinistra”.
Il fascismo è morto, si dice. Ma i fascisti sono ben vivi, come dimostra la vicenda Fidanza. Come vive questa fase?
Sono preoccupato, ci sono una serie di indulgenze… Se i fascisti trovano un punto di riferimento in qualche partito politico possono diventare pericolosi per la democrazia. Il partito della Meloni mi pare avviato su questa strada. La Costituzione vieta la ricostituzione del partito fascista. In Italia non esiste la libertà di tornare al fascismo. La Resistenza ha chiuso quella strada per sempre”.
Esiste ancora l’antifascismo militante? O la memoria della Resistenza va disperdendosi?
“La mia esperienza delle scuole mi fa essere ottimista. Ho parlato con più di 10mila giovani, ho trovato attenzione e partecipazione straordinaria. Occorre fare memoria, ricordare i crimini del fascismo, opposti al negazionismo che dice che non ci sono stati 6 milioni di ebrei sterminati. Siamo stati diverse volte a Mauthausen con i ragazzi, è un’esperienza necessaria.
Se sarà di nuovo possibile tornare nelle scuole io ci sarò. Andrò a parlare dei 25 libri che h scritto sugli episodi della Resistenza. Quando parlo delle torture e delle stragi i giovani reagiscono. Il fascismo è stato la negazione della libertà ma anche la ferocia”
Dovesse andare oggi alle urne chi sceglierebbe?
“Voto a sinistra. Sempre. Non voto i gruppetti comunisti che non rappresentano nulla. A Savona il possibile sindaco è figlio di un Dc, il mio candidato preferito a Genova è Luca Borzani”.
Draghi?
“A me non piacciono gli uomini soli al comando. Comunque meglio al governo, al Quirinale Draghi ci porterebbe verso una Repubblica presidenziale”.